Albino, «Io, prigioniero di guerra»
Ricordi tragici di un novantenne

A vederlo salire le scale di casa e ad ascoltarlo raccontare la sua storia, non penseresti che Mario Scandella abbia 90 anni compiuti. Confessa che la memoria traballa, ma ci sono gli appunti, scritti nell’immediato rientro dalla prigionia in Germania.

A vederlo salire le scale di casa e ad ascoltarlo raccontare la sua storia, non penseresti che Mario Scandella abbia 90 anni compiuti. Confessa che la memoria traballa, ma ci sono gli appunti, scritti nell’immediato rientro dalla prigionia in Germania, per ricordare le date e gli eventi di cui fu suo malgrado protagonista durante la seconda guerra mondiale.

Mario Scandella è signore distinto e riservato e non vorrebbe tanto clamore intorno alla sua storia, quella di prigioniero in Germania, o meglio, internato militare italiano, secondo la categoria inventata dai nazisti e accettata da Mussolini, che li sottraeva alla Convenzione di Ginevra e all’intervento della Croce Rossa.

Si raccomanda che non si scriva un articolo lungo, ma il signor Scandella, che dopo la guerra è stato per quarant’anni alla guida dell’Associazione reduci di Albino, sa quanto sia importante la memoria, anche se ricordare non sempre è un antidoto sufficiente contro le tragedie.

Il racconto inizia con l’8 settembre 1943, un giorno che molti speravano segnasse la fine della guerra per l’Italia, ma che al contrario fu l’inizio della fase più dura e difficile per il nostro Paese che da alleato della Germania nazista diventò nemico, traditore e territorio occupato.

«L’8 settembre ero a Roma, arruolato nella Divisione Sassari, Battaglione mortai, ed eravamo arrivati dalla Croazia a luglio. Nei primi episodi della Resistenza a Roma non ho combattuto. Ci siamo fatti imbottigliare da quattro ragazzetti armati. E quel giorno il comandante è venuto e ci ha detto che non c’erano più disposizioni».

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