Allarme in Usa per un super batterio
Resiste a ogni cura. Rischi anche in Italia

Dalle campagne cinesi alla Pennsylvania passando per mezza Europa, Italia compresa. Il «viaggio» della variante genetica Mcr-1, che conferisce ai batteri la resistenza alla Colistina, l’ultimo baluardo tra gli antibiotici, sta per toccare tutto il mondo, aumentando la paura di un’era in cui non ci saranno armi contro le infezioni.

A lanciare l’ultimo allarme sono stati gli scienziati del dipartimento alla Difesa Usa, che hanno individuato un’infezione da «Escherichia coli» nelle urine di una donna della Pennsylvania che, oltre a Mcr-1 aveva anche le varianti che danno resistenza a tutti gli altri antibiotici in uso. La donna ora sta bene, riferisce il «New York Times», ma indagini sono in corso sia per individuare la fonte dell’infezione, forse un ricovero, sia per capire quanto questo «super batterio» sia diffuso. La sua scoperta, anche in Usa, «ci sta mostrando che la strada di impiego degli antibiotici può essere arrivata quasi alla fine - ha detto Thomas Frieden, direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie -, una situazione in cui non abbiamo nulla da offrire ai pazienti».

Lo scenario preconizzato da Frieden è stato previsto negli ultimi anni da diversi esperti, al punto che dell’argomento si sta occupando anche, su impulso della Gran Bretagna, il G7 in corso in Giappone. Ad alzare ulteriormente il livello di allarme è stata la scoperta, descritta lo scorso novembre su «Lancet infectious diseaes», del gene Mcr-1 in alcuni allevamenti e in alcuni pazienti in Cina, frutto dell’uso intensivo di Colistina sugli animali.

«Una volta descritta la variante l’abbiamo cercata un po’ tutti - spiega Annalisa Pantosti, dell’Istituto superiore di sanità -. Anche da noi ci sono ceppi di Escherichia coli con questo gene, ma non hanno altre resistenze. La scoperta in Usa però è preoccupante perché la resistenza di quel tipo è facilmente trasmissibile ad altri batteri». In Italia, sottolinea Pantosti, i batteri resistenti a tutti gli antibiotici sono già arrivati. «L’impossibilità di trattare il paziente noi l’abbiamo già nel nostro Paese - spiega Pantosti -, non per l’Escherichia coli come nel caso statunitense ma per un’altra classe di batteri, le Clebsielle pneumoniae, resistenti ai Carbapenemi, che nel 30-40% dei casi sono ormai resistenti anche alla Colistina. In questi casi si ricorre ad antibiotici “di fortuna”, magari in disuso, oppure a combinazioni di più farmaci, ma la mortalità è molto alta, fino al 50%, anche se difficile da quantificare perché di solito i pazienti hanno anche altri problemi medici».

Due le soluzioni al problema indicate dagli esperti. Da una parte bisogna limitare l’uso dei farmaci, sia negli allevamenti che nell’uomo, un problema che, secondo il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, tocca particolarmente l’Italia, al top nelle classifiche sia di uso che di resistenza. Dall’altra è necessario trovare nuovi antibiotici. In questo campo sono allo studio anche soluzioni «creative», come un sistema di «pay or play» per cui le aziende che non fanno ricerca pagano una quota a quelle che invece la fanno. In mancanza di nuove armi, afferma un rapporto del governo britannico, nel 2050 le infezioni resistenti potrebbero fare dieci milioni di morti l’anno.

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