Le indagini su Yara e i controlli sui cellulari
Bossetti faccia a faccia con chi lo arrestò

Massimo Bossetti, nell’aula in cui si sta celebrando il processo, si è ritrovato faccia a faccia con l’uomo che lo fermò il 16 giugno dell’anno scorso, nel cantiere di Seriate: si tratta del maggiore dei carabinieri, Riccardo Ponzone.

«Simulammo un intervento per verificare la presenza di lavoratori in nero - ha spiegato l’ufficiale -: tutti rimasero fermi, stupiti. L’unico che manifestò preoccupazione e si mosse, lungo il ponteggio, fu il signor Bossetti».

Ponzone a quel punto decise di arrampicarsi sul ponteggio perché aveva paura che fuggisse: «Quando lo ho raggiunto gli ho chiesto: sei italiano? Stai fermo». «Lui - ha continuato l’ufficiale - ha fatto segno di sì, si è girato ed è corso verso il primo piano. L’ho inseguito, ma poi è stato bloccato dai miei colleghi. Si è fermato e non ha opposto resistenza».

«Lo immobilizzammo, secondo la procedura, lo facemmo inginocchiare, lo ammanettammo e cominciammo a farlo scendere»

L’avvocato Salvagni, terminata l’udienza, ha ribadito che Bossetti non ha mai tentato di scappare: tanto che il gip non aveva convalidato il fermo per insussistenza del pericolo di fuga. È stato tenuto infatti in carcere solo per i gravi indizi di colpevolezza.

Durante l’udienza è stata proiettata parte del video che ritrae il fermo di Bossetti, su sollecitazione della difesa.

Bossetti si agganciò a Chignolo 195 volte
Fra il 19 settembre e il 26 novembre del 2010 (poco più di 2 mesi) il cellulare di Massimo Bossetti agganciò la cella di Chignolo d’Isola 13 volte.

Nei cinque mesi dopo la sparizione di Yara - avvenuta il 26 novembre del 2010 - il cellulare del carpentiere ha invece agganciato la stessa cella ben 195 volte. Lo ha spiegato al processo il maresciallo del Ros di Brescia Giuseppe Gatti.

Gatti ha anche precisato che, di quelle 195 volte, 40 agganci sono stati registrati fino al 26 febbraio del 2011, quando il corpo della ginnasta fu ritrovato. Gli altri 155 contatti sono avvenuti dopo il ritrovamento e fino a maggio.

Durante l’udienza non è per il momento emerso che in quel periodo Bossetti lavorava in un cantiere di Bonate compatibile con la cella «incriminata».

Controllati i telefoni di un bergamasco su 10

Sono state 118 mila le utenze telefoniche controllate nel corso delle indagini sulla tragica morte di Yara Gambirasio.

Lo ha confermato nel corso della nuova udienza del processo contro Massimo Bossetti lo stesso maresciallo del Ros di Brescia. Una mole di lavoro incredibile, considerato che si tratta in pratica di più di un decimo della popolazione della intera provincia di Bergamo.

Praticamente sono state controllate tutte le linee telefoniche di tutti coloro che - per qualsiasi ragione e magari anche solo una volta - fra il 10 settembre 2010 e il 30 maggio 2011 sono transitati sotto le tre celle considerate sensibili, quelle che servono la zona della palestra e poi il percorso fino al campo di Chignolo, dove il corpo fu ritrovato il corpo della ginnasta.

Poi le indagini si sono concentrate - ha spiegato il maresciallo - sulle utenze di Bossetti e della moglie Marita. In particolare è stato evidenziato che fra il 21 e il 28 novembre 2010 (Yara era scomparsa il 26 novembre) non compare alcuna telefonata, a testimoniare - secondo l’accusa - di un raffreddamento dei rapporti.

Soprattutto, è stato evidenziato, se si considera che fra settembre 2010 e maggio 2011 Bossetti e la moglie si sentivano almeno una o due volte al giorno.

Il programma dell’udienza
Il processo si concentra proprio sulla lunga e complessa analisi che è stata fatta sulle celle telefoniche per risalire alla posizione, il giorno della scomparsa, sia della ragazzina che dell’imputato. A testimoniare è chiamato.

L’udienza, a differenza delle precedenti, è prevista per la sola mattinata di venerdì per impegni della corte. Quindi solo se avanzerà tempo sarà sentita la testimonianza del maggiore Riccardo Ponzone del nucleo investigativo di Bergamo.

I telefonini di Massimo Giuseppe Bossetti sono stati a lungo sotto la lente degli inquirenti, a caccia di indizi che mettessero in relazione l’artigiano edile di Mapello con il delitto di Yara. Le analisi erano state avviate nell’ottobre del 2014.

Quattro i cellulari sequestrati a Bossetti che erano finiti nei laboratori per una consulenza dei carabinieri del Raggruppamento investigazioni scientifiche (Racis) di Roma.

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