«Calderoli è da processare»
Nel mirino l’insulto alla Kyenge

Il ministro Kyenge l’aveva perdonato (con riserva), la Procura di Bergamo no. E così il leghista Calderoli, vicepresidente del Senato, si ritrova sul capo una richiesta di giudizio immediato per diffamazione aggravata dalla discriminazione razziale.

Il ministro Cécile Kyenge l’aveva perdonato (con riserva), la Procura di Bergamo no. E così il leghista Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, si ritrova sul capo una richiesta di giudizio immediato per diffamazione aggravata dalla discriminazione razziale. La storia è quella famosa dell’«orango».

A cui, durante un comizio a Treviglio il 12 luglio scorso, era stata accostata la titolare del dicastero dell’Integrazione. «Quando vedo le sue immagini non posso non pensare alle sembianze di un orango», aveva esclamato il lumbard dal palco della «Festa de Treì», suscitando prima l’ilarità dei presenti e poi (dal giorno successivo) un polverone mediatico di risonanza internazionale.

Per la vicenda «orango» è entrata in campo la Procura di Bergamo. Nonostante Cécile Kyenge non abbia presentato querela, i magistrati bergamaschi hanno aperto comunque un fascicolo. Possibile l’iniziativa, pur senza la denuncia della vittima? Sì, perché l’aggravante della discriminazione razziale rende procedibile d’ufficio la diffamazione.

Per Calderoli i due pm hanno scelto di non passare dal filtro del gup, chiedendo il giudizio immediato. Un iter accorciato e consentito se, tra le altre cose, c’è l’evidenza della prova. Le registrazioni del comizio inchiodano l’indagato alle sue responsabilità, è la convinzione della Procura. «Non ne so nulla»: cade dalle nuvole Calderoli.

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