Casale e la tragedia dell’Eternit
Pansa: «Un killer silenzioso»

Franco Cattaneo intervista il celebre giornalista, originario di Casale Monferrato, dopo la sentenza sulle vittime dell’amianto.

Scusi, Pansa, ma lei non è di Casale Monferrato?

«Certo – risponde al cellulare dalla Toscana, dove vive da tempo l’illustre giornalista e scrittore Giampaolo Pansa: sono nato proprio lì nel 1935 e sono andato via nel ’60, l’anno dopo essermi laureato, quando sono stato assunto alla “Stampa” di Torino. Quindi per 25 anni anch’io ho respirato amianto. In città non ho più nessuno: mia sorella, l’unica rimasta, da tempo abita in un paese vicino».

Ma cosa dice di questa contestata prescrizione?

«Di questo non voglio parlare: non è mia abitudine commentare le sentenze e poi non sono in grado di esprimere un giudizio tecnico. Certo, potrei sempre richiamarmi al detto latino: il massimo del diritto a volte crea il massimo dell’ingiustizia, aggiungendo che forse chi ha cominciato questa indagine potrebbe non aver valutato sino in fondo il nodo prescrizione. In ogni caso immagino lo choc di chi vive lì, i seri problemi che ancora ci sono. Stiamo parlando della più grande tragedia ambientale dell’Italia: sono cambiati i regimi, sono passati i partiti di tutti i generi, ma l’amianto è sempre rimasto lì».

Amianto, una parola che fa paura.

«Sì, l’incubazione del tumore, il mesotelioma pleurico, è molto lunga e vai incontro a una terribile agonia perché muori soffocato, come se tu fossi colpito alle spalle da un pitone che poi non ti lascia più. E c’è un altro aspetto: Casale ha 35 mila abitanti e i morti sono stati oltre duemila, quindi vuol dire che tra questi almeno il 30 per cento non ha mai lavorato nella fabbrica».

Per esempio?

«Siamo dinanzi a una sorta di roulette russa, per cui la gente continua a morire per mano di un assassino silenzioso. Ricordo il caso della moglie e della mamma di un giornalista, corrispondente da Mosca e da Berlino, morte per questa malattia: entrambe non avevano mai avuto a che fare con la fabbrica Eternit. Ci sono dei miei concittadini che hanno lasciato Casale da giovani, che non avevano mai vissuto vicino allo stabilimento e che sono morti anni dopo per questa malattia. C’è la dolorosa vicenda di un mio caro amico, un ragazzo d’oro, Marco Giorcelli, 51 anni, direttore del bisettimanale “Il Monferrato”, che ha avuto una lunghissima agonia vissuta con grande dignità: pure lui mai messo piede nella fabbrica. Ricordo che Marco aveva pubblicato l’elenco di tutte le vittime dell’amianto: una sterminata Spoon river e lì ho ritrovato i nomi di vecchi amici che avevo perso di vista».

L’Eternit faceva tutt’uno con Casale.

«Era la nostra Fiat. Se una ragazza voleva sposare un dipendente dell’azienda, il padre non sollevava obiezioni: lo stipendio, peraltro più alto che altrove, era garantito ed era quasi un privilegio essere assunti. Uno stabilimento enorme, steso su 94 mila metri quadrati, nel quartiere del Ronzone, che chiude nell’86. Avevamo in casa una bomba nucleare, ma a lungo nessuno immaginava che l’amianto sarebbe diventato un killer silenzioso. Pensi che vicino alla fabbrica, sul fianco destro del Po, s’era creata una spiaggia bianca e brillante, dal colore innaturale: in un mio articolo la descrivevo come un grande velo da sposa che nascondeva un numero enorme di morti».

Eternit richiama l’eternità, un nome da onnipotenza.

«La sottolineatura stava nell’idea che l’impasto di cemento e amianto sarebbe durato all’infinito. La fabbrica sorge nel 1906 quando un gruppo di imprenditori genovesi utilizza un brevetto austriaco per la costruzione prima di tegole piane, poi di lastre e poi di tubi grandi. Mi chiedo preoccupato, a mo’ di esempio: quanti sono gli acquedotti in Italia con tubi di amianto?».

Ma l’arrivo dell’amianto a Casale era solo per un destino cinico e baro?

«No, eravamo pieni di cave di marna calcarea e la mia città era una delle capitali del cemento: prima della grande guerra si contavano addirittura un centinaio di cementifici che sputavano fumo in continuazione e che sembravano batterie di missili. Il cemento accompagna la storia della mia terra, tant’è che c’è anche un proverbio che parla dei nostri tetti bianchi. E pensare che durante l’ultima guerra inglesi e americani bombardavano i ponti sul Po per fermare la ritirata dei tedeschi: eppure l’Eternit non è mai stata colpita. La mia gente prima è stata avvelenata dai cementifici, poi tanti anni dopo ha dovuto affrontare questo assassino silenzioso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA