Cosa facevi l'11 settembre 2001?
Il racconto dei bergamaschi

«Quello che ricordo meglio, è il senso di irrealtà». Paolo Pesenti, vicepresidente del gruppo di ricerca e statistica della Federal Reserve Bank di New York, racconta il suo 11 settembre 2001.

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«Quello che ricordo meglio, è il senso di irrealtà». Paolo Pesenti, vicepresidente del gruppo di ricerca e statistica della Federal Reserve Bank di New York, dieci anni fa, pendolare quel giorno in ritardo di un'ora, era saltato sul treno che dal New Jersey porta a Manhattan lungo il tunnel sotto il fiume Hudson, capolinea al Wtc, la sua fermata. «Da lontano si vedeva del fumo uscire da una torre, qualcuno diceva che un aeroplanino da turismo si era sfracellato. Poi il treno si ferma, ci spiegano che il tunnel è bloccato, proseguiremo sulla linea diretta a Penn Station. Non avevo ancora un cellulare, ho cercato un telefono pubblico e ho lasciato un messaggio per mia moglie sulla segreteria di casa. A Penn Station ci siamo arrivati, le tv a quel punto trasmettevano sulla Cnn il crollo della torre. Non capivamo cosa stava succedendo, ci chiedevamo che altro sarebbe successo. La stazione fu evacuata. Uscimmo all'aperto sotto il cielo azzurro, Manhattan era splendida. Ma si sentivano le sirene delle ambulanze dirette verso downtown. Non lo sapevo, ma la Fed, che dista un paio d'isolati dalle torri, aveva intanto aperto porte e cancelli per raccogliere al sicuro la gente che scappava. Le notizie erano confuse: aerei che non si capiva se fossero stati dirottati, il Pentagono colpito... E noi eravamo lì, aspettavamo sotto quel sole di settembre. Nel primo pomeriggio la Penn Station riaprì, ripresi il treno per tornare a casa».

«Il senso di irrealtà cresceva ? aggiunge Pesenti ?. In quel periodo avevamo la casa piena di operai perché stavamo rifacendo la cucina. Quando entrai, tutti stavano dando la caccia la gatto Jamie, che si era infilato nel condotto dell'aria condizionata. Sbattuto dalla tragedia alla commedia. Era così per l'intero Paese. Qualcuno viveva ore drammatiche, gli altri lo guardavano alla tv come un film del terrore, per metà continuando nelle proprie faccende, per metà chiedendosi che cosa sarebbe successo. Surreale». «Tornai al lavoro due settimane dopo. A Manhattan ? continua ? si sentiva ancora puzzo di bruciato, si respirava polvere. Sembrava la fine del quartiere degli affari e della finanza, molte aziende se n'erano andate. Ci chiedevamo che cosa sarebbe accaduto ancora. L'incertezza era il sentimento prevalente. Ma New York non è una città che si piange addosso. Chinatown e Tribeca ricominciarono a funzionare, poi la Borsa, il distretto tornò come prima. Tranne il buco di Ground Zero. E l'interrogativo sul secondo round. Prima dell'11 settembre c'erano stati solo la guerra di secessione e Pearl Harbour. Eccezioni quasi leggendarie all'inviolabilità del territorio americano. Così si aprì l'era delle restrizioni alla libertà individuale, il primato della sicurezza sui valori civili, la solidarietà scivolò nel 'noi contro il mondo' con la reazione dell'amministrazione Bush, Afghanistan e Iraq, due guerre ancora non chiuse».

«Anche al desiderio di pace Obama deve la vittoria del 2008. E investirà il capitale politico dell'eliminazione di Osama Bin Laden nella campagna elettorale del 2012. Difficile dire se il crollo delle torri ha cambiato gli americani, di sicuro ha cambiato la Cia. É cambiato il tipo di difesa contro il terrorismo, meno militare e più di intelligence, fatta di droni, infiltrati, corpi speciali. Ma le strutture culturali profonde di un popolo non si cambiano con eventi, anche se tragici, sporadici. La presidenza Bush ? continua ancora Pesenti ? non ha aiutato una riflessione accurata sul legame tra gli Usa e il mondo, ma forse l'elezione del primo presidente nero è stato un segnale in questa direzione. Comunque, il senso di allerta nazionale si sta abbassando, l'11 settembre si sta chiudendo. La nuova fase è la difficile coabitazione fra un mondo ricco in declino e un mondo emergente molto dinamico ma con grandissimi problemi di identità e di leadership mondiale. É la crisi economica e finanziaria che ora interessa gli americani. Quando la disoccupazione è al 9%, avverti come primo nemico la povertà reale che ti minaccia, piuttosto che un ipotetico attacco». «Anche la nascita dei Tea Party fra i repubblicani ? conclude ? è legata all'economia, piuttosto che alla sicurezza. Se poi vi sia un legame tra 11 settembre e crisi finanziaria, direi di no. La crisi ha altre radici strutturali e a suo tempo l'impatto economico del crollo delle torri fu limitato. Tuttavia, l'aumento delle spese militari che ha gonfiato il deficit e il debito pubblico e un certo sfaldamento della posizione fiscale americana possono essere considerati effetti dell'11 settembre indirettamente collegati alla crisi. Dieci anni dopo resta un'ombra nella psicologia collettiva della città. Ma i newyorkesi sono resistenti. Come il mio gatto, tuttora vivo e vegeto».

Susanna Pesenti

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