Da New York scoperta bergamasca
Sull’Alzheimer gli studi di Pasinetti

La ricerca - Il professor Pasinetti, di Borgo Canale ha condotto uno studio che dimostra il legame tra il diabete di tipo 2 e l’insorgenza dell’Alzheimer.

A causa di particolari fattori di rischio di natura genetica, alcuni pazienti alle prese con il diabete di tipo 2 (non insulino dipendente) possono sviluppare più di altri la malattia di Alzheimer. È quanto emerge da uno studio condotto dalla «Icahn School of Medicine» del «Mount Sinai» di New York sotto la guida del professor Giulio Maria Pasinetti, bergamasco (di Borgo Canale), una delle massime autorità internazionali nel campo degli studi sull’Alzheimer, da anni negli Usa.

I ricercatori – utilizzando uno studio di associazione genome-wide (in inglese genome-wide association study, o GWAS) – hanno infatti cercato di capire se tra i fattori che scatenano il diabete di tipo 2 e l’Alzheimer ci siano meccanismi cellulari o molecolari a base genetica capaci di innescare entrambe le malattie.

Uno studio GWAS è un’indagine di tutti (o quasi tutti) i geni di diversi individui di una particolare specie per determinare le variazioni geniche tra gli individui in esame. In seguito si tenta di associare le differenze osservate con alcuni tratti particolari, ad esempio una malattia. Nell’uomo è stato possibile individuare un’associazione tra particolari geni e malattie come la degenerazione maculare e il diabete. In questi casi vengono valutati campioni provenienti da centinaia o migliaia di individui, di solito cercando polimorfismi di singoli nucleotidi (o SNP). Già nel dicembre del 2010, più di 1.200 analisi genome-wide avevano esaminato oltre 200 malattie e tratti, trovando quasi 4.000 associazioni. Le GWAS sono utili nell’individuare il «sentiero» molecolare della malattia, ma solitamente non è possibile ottenere gli esatti geni che predicono il rischio di malattia.

Questi studi normalmente mettono a confronto il Dna di due gruppi di persone: gli individui che presentano la malattia e individui sani il più possibile simili ai malati. Vengono prelevati dei campioni cellulari, ad esempio con un tampone orale. Da queste cellule viene estratto il Dna che è poi analizzato tramite un «bio-chip» in grado di leggere milioni di sequenze. Questi chip vengono studiati al computer con tecniche bioinformatiche. Invece di leggere intere sequenze geniche, questi sistemi individuano di solito SNP marcatori di gruppi di variazioni geniche.

Se alcune variazioni genetiche sono significativamente più frequenti negli individui malati, allora le variazioni si dicono «associate» con la malattia. Anche le più piccole variazioni genetiche possono avere un impatto importante.

Gli studi del professor Pasinetti e del suo team hanno confermato che una delle principali complicanze a lungo termine del diabete tipo 2 è un aumento del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, così come emergeva dagli studi precedenti, che suggerivano fortemente un ruolo causale del diabete nella insorgenza e nella progressione della demenza, senza però aver mai descritto le specifiche interazioni «meccanicistiche» che collegano il diabete e l’Alzheimer.

«Abbiamo identificato numerose differenze genetiche in termini di SNP che sono associate ad una maggior suscettibilità di sviluppare il diabete di tipo 2 così come la malattia di Alzheimer» afferma il professor Pasinetti, neuropsichiatra, direttore del Centro di eccellenza per nuovi approcci neuroterapeutici per la cura dell’Alzheimer al «Mount Sinai» di New York. «Molti di questi SNP sono ricondotti a geni le cui anomalie sono note per contribuire allo sviluppo del diabete di tipo 2 e dell’Alzheimer, avvalorando così la tesi che alcuni pazienti diabetici con queste differenze genetiche sono ad alto rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer. I nostri dati mettono dunque in evidenza la necessità di un ulteriore approfondimento sulla suscettibilità genetica alla malattia di Alzheimer nei pazienti con il diabete di tipo 2».

Un problema non di poco conto visto che si calcola che, nel mondo, le persone malate di diabete non insulino dipendente siano 312 milioni: una vera e propria epidemia i cui enormi costi gravano su sistemi sanitari e socioassistenziali sempre più in difficoltà. Allo stesso modo, l’Alzheimer colpisce quasi 45 milioni di persone in tutto il mondo ed è altrettanto costoso sia per i malati e le loro famiglia sia per i sistemi assistenziali. E per entrambe le malattie, ad oggi, non vi è ancora alcuna cura.

«Prove crescenti - sottolinea il professor Pasinetti - suggeriscono che l’Alzheimer può essere fatto risalire a condizioni patologiche, come del resto il diabete di tipo 2, che insorgono alcuni decenni prima dell’esordio clinico della malattia. Poiché il diabete di tipo 2 è uno dei fattori di rischio potenzialmente modificabili per l’Alzheimer, è estremamente importante per gli scienziati scoprire la complessa connessione genetica esistente tra le due malattie, riuscendo così a fare in modo modo che i nuovi interventi terapeutici per i malati di diabete di tipo 2 possano essere utilizzati prima della comparsa dell’Alzheimer. Questo studio - conclude Pasinetti, la cui ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica di settore “Molecular Aspects of Medicine” - sarà di aiuto alle ricerche in corso per esplorare ulteriormente la suscettibilità genetica nei pazienti con diabete tipo 2 per lo sviluppo dell’Alzheimer e contribuirà a migliorare la progettazione dei futuri nuovi trattamenti farmacologici per quei diabetici non insulino dipendenti con predisposizione genetica alla malattia di Alzheimer, che potranno così tener sotto controllo il diabete stesso e ridurre il rischio di sviluppare in seconda battuta l’Alzheimer».

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