Facebook e il caso Cambridge Analytica
I nostri dati in pericolo? Come proteggerli

Il riassunto dettagliato del caso Cambridge Analytica e il dibattito che si è scatenato sull’uso dei dati concessi dagli utenti. Anche i nostri dati sono in pericolo?

Un’azienda di consulenza e marketing, Cambridge Analytica, ha utilizzato milioni di dati personali prelevati da Facebook violandone le regole. La notizia è stata svelata dal Guardian e dal New York Times che hanno raccolto la testimonianza di alcuni ex dipendenti della società. Il caso è molto spinoso, soprattutto per il social network, perché pone grandi interrogativi sull’uso dei dati concessi dagli utenti (o estorti in modo più o meno subdolo) a quelle che vengono chiamate «terze parti», cioè soggetti esterni che possono utilizzare o vendere le informazioni. Cambridge Analytica, ad esempio, ha avuto rapporti con alcuni dei consulenti di Donald Trump durante la campagna elettorale del 2016 e ha lavorato anche durante il referendum su Brexit nel Regno Unito.

50 MILIONI DI UTENTI – Secondo Christopher Wylie, il whistleblower che raccontato i dettagli dello scandalo, Cambridge Analytica avrebbe sfruttato i dati personali di oltre 50 milion di utenti con l’obiettivo di targettizzare la portata della propaganda durante la campagna elettorale statunitense. Come sono stati raccolti i dati? Secondo quanto emerso, ha utilizzato un’applicazione, «thisisyourdigitallife», non politica e apparentemente innocua, per raccogliere informazioni a strascico.

L’app è stata creata da Aleksandr Kogan, un docente di psicologia dell’università di Cambridge, e stata presentata a Facebook come uno strumento di ricerca la cui raccolta dati sarebbe servita per fini accademici. Grazie alle domande poste agli utenti è stato possibile risalire a posizioni geografiche, pagine seguite, interessi e soprattutto accedere anche ai dati degli amici su Facebook amplificando la raccolta dalle 270 mila persone che hanno scaricato l’app a 50 milioni. «Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere i profili di milioni di persone - ha dichiarato Wylie. - E abbiamo costruito modelli per sfruttare ciò che sapevamo su di loro e mirare ai loro demoni interiori. È su questa base che l’intera società è stata costruita».

FACEBOOK SAPEVA? Nel 2015, quando sono stati raccolti i dati dall’app incriminata, Facebook consentiva di raccogliere anche i dati degli amici senza avvisarli. Ora la politica è cambiata e il social ha deciso di schermare le reti di amici. Il caso ha inizio quando Kogan, il docente di psicologia, decide di condividere quella quantità enorme di dati con Cambridge Analytica, in palese violazione dei termini d’uso di Facebook, che vieta ai proprietari di app di condividere i dati raccolti. Una delle sanzioni più temute è la sospensione degli account con conseguente stop del sistema.

Nonostante Facebook fosse a conoscenza del problema, ha deciso la sospensione solo ora, per poi difendersi con un post: «L’accusa secondo la quale si tratti di una fuga di dati è completamente falsa. Aleksandr Kogan ha chiesto e ottenuto l’accesso alle informazioni di utenti che hanno scelto di iscriversi al programma, e chiunque sia stato coinvolto ha dato il suo consenso». Nei fatti, quello di Cambridge Analytica non è un’opera di hacking, perché Kogan ha sfruttato le possibilità del social per collezionare dati e non è stata violata l’architettura informatica di Facebook.

COME VENGONO UTILIZZATI I DATI? - È la domanda che si è posta la denatrice democratica del Minnesota Amy Klobucharsabato, che ha chiesto un’audizione di Mark Zuckerberg, Ceo di Facebook, per fare luce sui possibili abusi della profilazione da parte di Cambridge Analytica. Lo stesso è successo nel Regno Unito: il conservatore Damian Collins, che sta conducendo una indagine parlamentare sulle influenze illecite durante il voto Brexit, vuole ascoltare le parole di Zuckerberg di fronte alla commissione.

Il New York Times nella sua inchiesta ha svelato che i documenti emersi suggeriscono il coinvolgimento di Cambridge Analytica in Russia e Ucraina. Alle rivelazioni dei giorni scorsi poi si aggiunge il documentario girato da alcuni giornalisti di Channel 4 negli uffici di Cambridge Analytica fingendosi potenziali clienti. Durante l’incontro l’amministratore delegato Alexander Nix avrebbe svelato le tecniche di microprofilazione usate per influenzare le campagne elettorali.

COME PROTEGGERE I DATI – A questo punto, anche alla luce di questi scandalo, è bene fare una seria riflessione sulla protezione dei dati concessi ai social network. Una delle soluzioni, senza pensare a soluzioni drastiche come cancellazione dal social, è limitare la condivisione di dati personali con applicazioni di terze parti. È bene saperlo: il login attraverso Facebook è un servizio comodo e riguarda anche app innocue quindi ha poco senso stopparlo ora.

L’invito invece è di fare attenzione soprattutto ai termini di utilizzo che vengono visualizzati prima di accedere a un servizio o a un gioco. Basta leggere con attenzione quali dati verranno concessi e a chi. Tra i più importanti, senza dubbio, ci sono la geolocalizzazione, ma anche gli interessi e le pagine a cui abbiamo messo like. Attenzione soprattutto ai “test di personalità” (lo stratagemma utilizzato da Cambridge Analytica), ma anche a giochi come «Di che segno sei?», «Chi voterai alle prossime elezioni?». In gioco non c’è «solo» una campagna elettorale, ma il rapporto che le persone hanno con la rete. È sempre più fitto, sempre più dipendente e per questo va chiarito fin da subito il controllo dei nostri dati, immagine online della nostra vita.

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