Giulia, quando la malattia
diventa un inno alla vita

«Un gancio in mezzo al cielo. Storie di speranza» è il concorso artistico-letterario voluto e organizzato da «conGiulia onlus», l’associazione a cui hanno dato vita i genitori di Giulia Gabrieli, portata via tre anni fa, a soli 14 anni, da un tumore.

Il concorso «Un gancio in mezzo al cielo. Storie di speranza» mutua il titolo dal libro testimonianza scritto da Giulia e si rivolge a tutti gli studenti delle scuole primarie e secondarie che hanno vissuto direttamente la malattia o che ne hanno fatto esperienza attraverso un amico, un familiare, un conoscente, oppure semplicemente vogliono dare una libera e inedita chiave di lettura a vicende di sofferenza. Per informazioni su tutti i progetti dell’Associazione «conGiulia», sui tempi e le modalità di partecipazione al concorso «Un gancio in mezzo al cielo. Storie di speranza» consultare il sito internet dell’associazione oppure scrivere alla posta elettronica [email protected].

E in occasione delle iscrizioni al concorso, Antonio Gabrieli, papà di Giulia, ha scritto a L’Eco di Bergamo. «Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura! È proprio questo allontanamento che mette timore a noi malati. Se invece gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono «Dai che ce la fai!», è quello che ci dà la forza di andare avanti. Se questo non succede ti chiedi: perché vanno così lontano? Se loro, che non sono coinvolti in prima persona, hanno paura, allora devo temere anch’io… Perché dovrei lottare per la guarigione se nessuno mi sta accanto?»

«Quanta dannata verità c’è in queste righe che Giulia ha scritto e consegnato a noi nel suo libro «Un gancio in mezzo al cielo». Non bisogna avere paura! Sì, facile a dirsi, difficile a farsi. Se poi la persona coinvolta è tua figlia di dodici-quattordici anni… Ti sembra impossibile e anche poco razionale che questo possa accadere. Non avere paura…».

«E invece… Invece se non fosse successo a me di vivere tutto ciò, non avrei mai creduto che questo potesse accadere. Merito di Giulia sicuramente. Lei ha saputo trasformare i suoi due anni di malattia in un Inno alla vita. Come è stato possibile? Non so, le risposte possono essere tante, la mia è una sola. Giulia ha saputo mettere al centro di sé l’altro, la persona, non la malattia. Un’infinità di relazioni e di amicizie di Giulia sono nate proprio nella malattia. «Io non ho avuto nessuno che si è allontanato da me, anzi estranei, persone che non conoscevo, si sono avvicinati a me. Ma non tutti sono così fortunati. Io, invece, vorrei che fosse così per tutti…».

«Questo è possibile solo se hai la forza e la determinazione di non isolarti, di mantenere aperte le relazioni e la capacità di costruirne delle nuove. Sì, anche attraverso la sofferenza. Fondamentale è la condivisione. La possibilità di avere un contesto familiare, sociale e di amicizie, che ti sostiene in quel particolare cammino, senza porsi il problema di quale sarà la meta. La gioia se condivisa si amplifica, la sofferenza se la condividi non si dimezza, ma ti permette di non esserne schiacciato. E non pensiate che si abbia necessità di chissà quali gesti. No, no, si ha solo bisogno di gesti quotidiani, a volte è sufficiente un colpetto sulla spalla o un semplice abbraccio...».

«Ah, che non si dica «facile per Giulia. Con la sua grande fede…». Indubbiamente l’ha avuta, ma se questo Dio di Giulia, che certamente non ha cambiato la sostanza degli eventi, ha fatto sì che lei, in modo libero e sereno, dialogasse con la morte mantenendo sempre il suo gioioso sorriso, allora è lecito dire che anch’io ho sete di questo Dio».

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