I leader all’epoca
dei partiti liquidi

Il trasformismo nella politica italiana è un male antico. Esso offre ancora il suo spettacolo degradante. Basta seguire, con un minimo di attenzione, le mosse di molti esponenti politici, anche di primissimo piano, e si scoprono incoerenze palesi e sfacciati ribaltamenti di posizione.

Con spregiudicata disinvoltura. L’effetto sui cittadini è disorientante: i continui cambi di posizione e di schieramento, i dietrofront offrono lo spettacolo indecoroso della incoerenza e dell’infedeltà. Lecito è cambiare idea, ovviamente, ma è sospetto quando si pretende di mantenere una dimensione pubblica e di potere. portando vessilli radicalmente diversi.

L’amoralità appare così un carattere e quasi una qualità del politico. All’origine di questa tendenza si pone dunque una questione morale, sempre sottovalutata nel discernimento politico. Ma ci sono anche fattori di carattere strutturale. Sono ad esempio convinto che il professionismo in politica sia un potente generatore di trasformismo. Non si tratta solo della minore solidità di convincimenti propria di chi non ha una forte esperienza e cultura sociale, che una competenza professionale e il lavoro possono favorire; ma della necessità - ben più prosaica - di guadagnarsi da vivere, soprattutto in tempi in cui trovare un lavoro non è impresa facile. Per colui, infatti, che fa della carriera politica una prospettiva lavorativa, stare a galla con il potere, seguendone gli spostamenti, diventa una questione di sopravvivenza, per quanto agiata, più che di coerenza.

L’attuale debolezza dei partiti aggrava questa condizione. A partiti «liquidi» corrispondono canali incerti di reclutamento della classe politica, che non attingono più ai serbatoi associativi di riferimento (essi stessi semi-svuotati) delle aree politico-culturali cui i partiti stessi dovrebbero appartenere. Sicché gli attuali partiti, poveri di dibattito interno e di radicamento nel Paese, offrono l’immagine di contenitori di carriere individuali, non di luoghi di elaborazione di pensiero e di politiche.

L’immagine ricorrente dei «cerchi magici», che si creano attorno al capo, rende l’idea del tipo di fedeltà che è premiante in politica. Il rapporto con un leader in rampa di lancio è una specie di ascensore che può proiettare ai piani alti, senza la fatica delle scale. Non si devono certo rimpiangere le divisioni correntizie che dilaniavano i vecchi partiti. E però, per quanto sembri paradossale, nel partito liquido, la disciplina, intesa come lealtà al potente di turno, non è meno rigida che nei partiti ideologici di un tempo, solo che l’ortodossia non si misura in termini di lealtà a un’idea, ma di disponibilità al servizio di un capo, di tipo vagamente feudale. E la legge elettorale, prima dell’intervento della Corte costituzionale, premiava l’allineamento al capo.

In questa ambiguità di fondo è ricaduto anche il processo, lungamente invocato, di ricambio generazionale. Esso non ha premiato il radicamento sociale e nemmeno specifiche competenze riconosciute, ma ha proiettato su prestigiosi palcoscenici giovani rampanti, privi però spesso di formazione professionale e ansiosi piuttosto di intraprendere una (possibilmente lunga) carriera di incarichi politici. Più che il ricambio generazionale, sarebbe da perseguire una maggiore circolarità e osmosi tra il lavoro sociale ed economico e l’impegno politico. L’incarico politico va inteso come responsabilità a termine, non come privilegio di una casta votata al potere. Ciò non significa che l’impegno politico non sia gravoso.

L’avere una professionalità rende libero il politico di sottrarsi a certi condizionamenti. Qualcuno potrebbe dire che con un ricambio, magari rapido, rischiamo di privarci di qualche buon politico. Ma Dossetti, già giovane costituente e protagonista, per un tempo breve ma intenso, della vita politica, confessava: «A certe indispensabilità così protratte io non credo». Raccontava anche come si accostassero a lui molti giovani per avere un incoraggiamento sull’impegno politico e diceva : «Non ho una ricetta per tutti: guardo un po’ il volto, capisco se la sua è un’inclinazione proprio disinteressata... allora magari lo incoraggio; se vedo che c’è un pochino di ambizione allora sono un po’ guardingo e, piuttosto, lo trattengo».

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