Il ghetto degli emarginati a due passi da Porta Nuova

Un ghetto nel cuore della città. Non c’è altro modo per definire le presenze fra i resti di archeologia industriale in via David: una volta ospitavano la Società Mulini, e i fotografi bergamaschi che hanno superato i quarant’anni ricordano che lì dentro, negli anni Settanta, c’era anche un laboratorio di sviluppo a colori. Ora quegli edifici fatiscenti appena alle spalle della Stazione Autolinee, a pochissimi passi da Porta Nuova, sono la casa di una comunità variegata, fatta di gente che la città fa finta di non vedere. Fa finta di nonvedere, ma la vede eccome. La evita, se ne tiene alla larga, fin che può la ignora, quasi sempre la teme come la peste: l’ingresso nel ghetto è ben segnalato da una scritta a spray che compare su un muro in via David, qualche metro prima che la strada si pieghi in una curva a gomito, proprio di fronte al cantiere, dall’altra parte della carreggiata, che dovrebbe regalare a Bergamo il tram delle Valli. «Andate a fare i vostri bisogni a casa vostra, maiali!», recita la scritta. Ti fermi lì, ti mimetizzi dietro qualche arbusto, e vedi quell’altro mondo pulsare, vivere, fare affari (e per affari si intende smerciare droga, farla consumare lì sul posto dopo la vendita), litigare, mangiare, dormire. Il passaggio per avere accesso al ghetto è semi nascosto da una rete di protezione arancione, che dovrebbe segnalare un’area pericolante, ma in realtà è come quelle righe sottili che sulle cartine geografiche delimitano i confini, un confine tra la città di Bergamo e l’altra, quella ignorata, che sta al di là. E come tutti i confini segnati sulle carte diventano reali solo se li varchi: passiamolo, questo sbarramento di plastica arancione, ed è come sentirsi catapultati su un set cinematografico. (13/11/2006)

© RIPRODUZIONE RISERVATA