Il «Mario Negri» compie 30 anni
«Siamo tentati di andare in Svizzera»

«La tentazione di mettere un istituto in Svizzera è molto forte. L’Italia non investe in ricerca,qui non c’è più futuro». Non scherza Giuseppe Remuzzi, né vuole fare il provocatore durante l’anniversario, il trentennale, dell’Istituto Negri.

Il direttore del «Negri Bergamo» e dei Dipartimenti di Medicina e di Immunologia e clinica dei trapianti del «Papa Giovanni XXIII» dà semplicemente il segno del forte disagio che gli scienziati italiani vivono ormai da troppo tempo.

«I ricercatori italiani, presi singolarmente, sono bravissimi, perfettamente in grado di

competere con i colleghi di tutto il mondo, ma senza mezzi e soverchiati da difficoltà di ogni

tipo possono fare ben poco. Il “Mario Negri” ha formato giovani venuti da tutto il mondo, dal

Sud Africa piuttosto che dagli Usa, dall’Europa piuttosto che dal Sud America, ma ciò è stato

possibile, in gran parte, grazie alle borse di studio dell’Associazione per le ricerche sulla

malattie rare, che ne ha messe a disposizione, negli anni, oltre 120. Ma sono fondi privati: di

pubblico non c’è quasi nulla».

Giuseppe Remuzzi ha fondato il «Negri» insieme a Silvio Garattini trent’anni fa:

«Non avevo

la minima idea che saremmo arrivati fin qui. Più di trent’anni fa, dopo aver visto cos’era la

dialisi in quegli anni, ho pensato che non si poteva non fare ricerca in questo campo».

E proprio Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto,ricorda l’inizio e le tante innovazioni e scoperte: «Se per un momento chiudessi gli occhi e pensassi a 30 anni fa mi verrebbe in mente il Conventino, l’idea è partita da lì, dal fatto che in quel luogo e con quel luogo io avevo una comunanza di ricordi avendo studiato all’Esperia. Mi piaceva l’idea che Bergamo avesse un centro di ricerca biomedica, sia per dimostrare il mio attaccamento a questa città sia come forma di gratitudine per tutto quello che da questo città ho ricevuto. Sono cresciuto all’Oratorio di Borgo Palazzo e l’esperienza all’Esperia è stata estremamente formativa: la chimica imparata lì mi è servita moltissimo quando poi ho iniziato la mia attività, consentendomi di camminare alla svelta».

Leggi su L’Eco di Bergamo del 31 ottobre due pagine su questo speciale anniversario

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