«Il segreto del labirinto della vita»

IL PELLEGRINAGGIO . Il vescovo Beschi nella cattedrale di Chartres: «Concentrazione, memoria e la pratica del Vangelo per superare le sfide della vita».

Il cammino dei pellegrini bergamaschi in terra francese ha affrontato ieri un segreto inciso sulla pavimentazione della cattedrale Notre-Dame di Chartres, una delle chiese gotiche più belle d’Europa per le sue 176 vetrate artistiche su 2.600 metri quadrati di finestre. Nulla di esoterico, ma un mistero che avvicina al divino: un labirinto nella navata principale (la chiesa ancora oggi è tappa del cammino di Santiago di Compostela). Durante il Medioevo, infatti, quando la cattedrale era un importante centro di pellegrinaggio, i fedeli camminavano sul labirinto come parte del loro viaggio spirituale e questo cammino era un sostituto simbolico per un vero e proprio pellegrinaggio a Gerusalemme. Ieri i bergamaschi accompagnati dal vescovo Francesco Beschi non hanno potuto percorrerlo perché in gran parte coperto dalle sedie disposte nella navata centrale per partecipare alle celebrazioni. Pur senza l’esperienza del cammino ideale verso Gerusalemme, i pellegrini sono stati guidati da monsignor Beschi, durante la Messa nel meraviglioso spazio del coro della cattedrale, nella riflessione sul senso del labirinto nella vita di tutti i giorni, con tutte le sue sfide, i suoi ostacoli e le sue prove.

«Il labirinto è la nostra vita»

«Il disegno del labirinto sovrastato dalla bellezza indescrivibile delle vetrate – ha detto il vescovo – è un particolare curioso con tanti significati ma a me evoca il filo di Arianna, quel filo necessario per poter trovare l’uscita. Il labirinto è la nostra vita, a volte quando siamo in difficoltà non troviamo la via d’uscita, allora serve il filo, quello che non si spezza». In effetti si può più facilmente uscire da un semplice vicolo cieco rispetto a un labirinto. Per quest’ultimo servono punti di riferimento, ma soprattutto concentrazione. Quante volte usiamo l’espressione: ho perso il filo del discorso? «La concentrazione – ha sottolineato monsignor Beschi – non è uno sforzo mentale. Non dobbiamo pensare: ma ho già troppi pensieri… La concentrazione è ciò che non ci fa mai perdere di vista le cose essenziali. Chiediamoci: la nostra vita attorno a cosa gira? Ecco, la concentrazione significa non perdere la vita, concentrarsi sull’essenziale».

Le tre chiavi

Per ritrovare la via d’uscita in una vita disseminata di sfide e ostacoli, la concentrazione ha la sua importanza ma non è sufficiente. Non a caso, quando si dice «non perdere il filo del discorso» si fa riferimento alla memoria. «Se perdiamo la memoria – ha detto il vescovo –, perdiamo noi stessi. Gesù dice: fate questo in memoria di me. Ed è in lui che ci ritroviamo e recuperiamo la strada da seguire. Ascoltiamo la Parola, altrimenti perdiamo il filo della fede, della memoria dei Santi, della nostra comunità». Su quest’ultimo passaggio della memoria, il vescovo ha raccontato un episodio della sua vita quando accompagnò una ventina di giovani sacerdoti a celebrare la Messa in una casa di riposo di confratelli: «Avevamo dinnanzi sacerdoti con l’Alzheimer, ma al momento della consacrazione anche quei preti levarono la mano verso l’eucarestia e il calice. Lì capii che cosa significa avere memoria di ciò che è decisivo nella propria vita». C’è un ultimo elemento che rende completo il connubio di concentrazione e memoria: la pratica. «Se non pratichiamo – ha detto il vescovo – resta tutto solo nella nostra testa. Invece il Vangelo va messo in pratica». E ha concluso rivolgendosi ai bergamaschi: «Siate pellegrini della fede che non perdono il filo».

La cattedrale

Al termine della celebrazione, prima di rientrare a Parigi per visitare la città e Notre-Dame in fase di ricostruzione, don Gianluca Salvi, direttore dell’Ufficio pellegrinaggi della diocesi, ha offerto una lettura suggestiva della cattedrale di Chartres con una frase di Péguy: «Quello che nella vita ci è promesso come bene, qui c’è la prima soglia». E citando Régine Pernoud ha paragonato l’arditezza del gotico di Chartres «a un bambino che alza le mani e le braccia, in punta di piedi, per afferrare le braccia di Dio, come fanno i vostri figli o nipoti quando vi corrono incontro per farsi prendere in braccio». E ieri i pellegrini bergamaschi hanno «congelato» la loro maturità anagrafica per affidarsi come bambini al mistero che si percepiva tra le volte altissime e illuminate dal blu cobalto delle artistiche vetrate.

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