
Responsabilità, partecipazione, collaborazione, ma soprattutto attenzione alla famiglia sono stati i punti su cui ha maggiormente insistito monsignor Roberto Amadei nell’omelia pronunciata a Treviolo durante la Messa per il Primo Maggio. Ha parlato con la voce appassionata di chi ha lo sguardo attento sui problemi del mondo del lavoro e conserva la speranza che le cose possano cambiare. Molte le ferite aperte toccate dalle sue parole, dai morti sul lavoro alle difficoltà dei giovani, dall’immigrazione al dramma di chi ha perso l’occupazione, dal lavoro domenicale alla rincorsa spasmodica al guadagno, fino a sottolineare la necessità di conciliare famiglia e mondo del lavoro.
«Occorre chiedersi – ha dettoli vescovo – se viene insegnato ai figli il valore della fatica quotidiana del lavoro. Se i figli imparano che l’unica ossessione è sempre il maggior guadagno, entreranno nel mondo del lavoro con questa idea e saranno guai per tutti». Il vescovo ha denunciato l’insensibilità pubblica verso la famiglia. «È sempre più difficile – ha detto – conciliare le responsabilità familiari con gli impegni di lavoro, che tolgono tempo all’educazione dei figli i quali necessitano della presenza di entrambi i genitori. Di conseguenza la maternità e la paternità vengono guardate con indifferenza dalle nuove generazioni. Ma il mondo del lavoro si interroga su questo?». La Messa è stata celebrata davanti all’ingresso della Cooperativa Legler, fondata nel 1901, e il vescovo ha fatto riferimento a quel tempo. «Siamo ospiti oggi di una realtà nata in un’epoca dove i datori di lavoro si occupavano delle famiglie, con alloggi, scuole e centri sportivi. Ora i tempi sono cambiati e non è possibile chiedere questo agli imprenditori, ma si può esigere una maggiore collaborazione fra istituzioni, imprese e forze sociali».
Nell’omelia non è mancato il pensiero per le tante vittime sul lavoro. «Ricordando questi lavoratori, si affronti il problema, non cercando il capro espiatorio negli altri, ma in tutti si risvegli la determinazione a operare perché il lavoro non sia un luogo di morte, ma un luogo dove si sviluppa la vita». Il vescovo ha citato il dolore di chi ha perso o rischia di perdere il lavoro e la fatica dei giovani in cerca di un’occupazione, sempre più precaria, che condiziona la programmazione del loro futuro. Ha parlato anche degli immigrati, perché «siano guardati come persone, con la loro storia e la loro cultura e non siano considerati solo manodopera, magari sottocosto».
(02/05/2008)
© RIPRODUZIONE RISERVATA