L’aiuto ai bisognosi
non è una paghetta

Il rapporto della Banca Mondiale sulla povertà offre informazioni confortanti, perché la condizione di estrema povertà riguarderebbe «solo» 702 milioni di persone e non è più utopistico l’obiettivo Onu della fame zero entro il 2030.

Il dato è oltretutto in continuo miglioramento, a dispetto delle invettive contro la globalizzazione e l’evocazione del cosiddetto liberismo selvaggio, che in quanto tale non esiste da nessuna parte perchè anzi le politiche stataliste sono ovunque fiorenti, anche nelle democrazie, altrimenti Barack Obama non avrebbe salvato la Chrysler prestando soldi alla Fiat, poi largamente restituiti,

Regno Unito, Olanda e quasi tutti gli europei (Italia esclusa, per la verità) non avrebbero salvato le Banche, l’Ue non avrebbe versato fiumi di denaro non solo in Grecia ma anche in Irlanda e Portogallo. Il problema vero è che ci sono povertà diverse a seconda delle latitudini. Per la Banca Mondiale è povero chi ha un reddito di meno di 1,90 dollari al giorno, mentre per noi italiani c’è una nuova povertà borghese che tocca la famiglia, i giovani senza lavoro, i cinquantenni che lo hanno perso, gli esodati . Per questo motivo, hanno un senso le proposte su temi come i bonus sperimentali di Maroni o la battaglia emblematica dei 5Stelle sul cosiddetto reddito di cittadinanza, che è la parte che va valutata seriamente di un progetto complessivo che non è andato molto avanti rispetto alla protesta e agli scontrini.

Il Governo, secondo la Caritas, ha già innalzato del 5,7% il reddito di una parte degli ultimi, almeno quelli che sono già nel flusso produttivo (gli invisibili continuano ad esserlo), e anche per questo Renzi ha respinto la proposta dei grillini, ma parla di un piano anti povertà, per cominciare, di un miliardo, compreso un eventuale «sostegno di inclusione attiva». Il problema insomma esiste, e non soltanto perché forme di questo tipo sono adottate in tanti Paesi ad economia libera. L’Italia non ce l’ha, ma gli altri non hanno la giungla di agevolazioni, provvidenze, card e aiuti che fanno parte di un welfare disordinato ma reale. Una foresta che dovrebbe essere probabilmente disboscata, con alte lamentele, se fosse sostituita da un nuovo intervento generalizzato. Fuor dalla propaganda, è necessario trovare un equilibrio tra un assistenzialismo indiscriminato e un intervento non solo di solidarietà ma che mantenga dinamismi di cui l’economia ha bisogno.

Non è ammissibile in sostanza la paghetta di Stato ma neanche l’emarginazione coatta (pensiamo ai giovani) di chi ha energie da offrire allo sviluppo. Ma la buona volontà è un conto, la complicata ricerca di meccanismi equi, semplici e non statalisti è un’altra. Obbedendo ad un automatismo lessicale, i grillini usano il termine fuorviante di «cittadinanza», con una proposta, che va letta perché tutt’altro che improvvisata, se non fosse – ed è ovviamente «il» problema – per le coperture finanziarie, che sono una piccola summa di populismi faciloni. Cittadinanza fa pensare che lo Stato debba coprire le spese di sopravvivenza di chiunque, ma se qualcuno percepisce, qualcuno paga e l’Italia è piena di furbetti che cercheranno di percepire e/o di non pagare.

Parliamo dunque più propriamente di reddito minimo, con una spesa che toccherebbe almeno i 20 miliardi, ma il terreno è sdrucciolevole e a forte rischio di intensificazione della presa dello Stato sui cittadini, nonché a rischio di demotivazione. Perché mai i 6 milioni di italiani che hanno un reddito tra i 15 e i 20 mila euro lordi dovrebbero spaccarsi la schiena per conseguirlo, se per poco meno ci si può dedicare al tempo libero o al lavoro nero?

Vero è che il sussidio vale solo per chi non rifiuta più di tre offerte di lavoro, ma anche qui un problema risolto ne apre mille: controlli, invadenza dello Stato, distorsioni del mercato del lavoro. Ma, ripetiamo, il problema povertà è troppo grande perché si debbano solo calcolare i presunti vantaggi dei grillini o gli strumentalismi di chi poi magari introduce nuove discriminazioni. Chi di povertà se ne intende, come la Caritas, punta, con le Acli, sul «reddito di inclusione sociale», costo a regime di 7 miliardi. Cominciamo da qui?

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