«Il mio Ordine? Al passo coi tempi
Aiuti ai giovani e più socialnetworks»

Il presidente dei medici, al suo sesto mandato, si racconta: dalla professione all'amore per i viaggi «Il posto del mondo che ho amato di più? Il Sudafrica. Ma non ho ancora visto la Normandia».

Emilio Pozzi, classe 1934, inaugura il suo sesto mandato, ininterrotto dal 1996, alla guida dell'Ordine dei medici di Bergamo: si può dire che sia lui l'Ordine, ha il «polso» della situazione della classe medica bergamasca negli ultimi vent'anni. E anche più.

Ma Bergamo, e la sua sanità, come stanno?
«La sanità della Lombardia è una delle eccellenze italiane di cui ci dimentichiamo spesso. I bergamaschi, poi, sono proprio esperti nell'evitare di fare pubblicità alle proprie: temo che l'understatement orobico sia quasi nel Dna, ma anche che sia un problema della classe politica espressa nella Bergamasca: prendiamo Brescia, che ha lo stesso numero di abitanti di Bergamo, ma che sa essere presente e pesare molto di più nel panorama nazionale economico, artistico, scientifico. A Bergamo si sono persi anche treni importanti: penso al fatto che, per esempio, non si è mai riusciti, nonostante eccellenze come gli Ospedali Riuniti e l'Istituto Mario Negri, ad avere qui una nostra facoltà di medicina. È come se Bergamo avesse sempre gestito una politica di chiusura».

Ma lei è bergamasco?
«Concepito qui. Ma mio padre Giovanni era di origini piacentine: era segretario comunale e non ha mai voluto portare la "cimice" del partito fascista, così è stato costretto a un esilio nomade, con lui mia madre Maria Rosa, che era casalinga. Io ho messo radici a Bergamo: dalle elementari al liceo, lo scientifico Lussana, ho studiato qui, poi medicina a Milano. Non so perché ho deciso di fare il medico, ma so che è stata la scelta migliore per la mia vita. Poi mi sono specializzato in Igiene e medicina preventiva».

La prevenzione è uno dei suoi cavalli di battaglia, E con lei, anche del «suo» Ordine.
«La prevenzione è il pilastro della medicina. E l'Ordine ha fatto suo questo obiettivo. Io ne sono sempre stato promotore, sia come medico di medicina generale, sia poi quando ho mosso i primi passi nel mondo dell'associazionismo medico e del sindacato: prima nell'esperienza con la Simg (Società italiana di medicina generale), dove coordinavo proprio il settore della prevenzione, poi nella Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale), con vari incarichi».

Poi è approdato all'Ordine, dal '96 ne è presidente. Praticamente è la sua casa: sua moglie cosa ne pensa?
«È medico anche lei, Maria Teresa: l'ho conosciuta in Università, a Milano, e non ci siamo più lasciati, fianco a fianco anche nel lavoro. Anche se lei ha sempre detto che ci vediamo poco: in realtà credo che la nostra sia una inossidabile joint venture, perché la famiglia è solida se c'è una coesione di intenti e di valori. E a casa nostra funziona. Due figli, Giovanni, sociologo a Trento, e Maria Luisa che è qui a fare il medico di base e la dermatologa. E una nidiata di nipoti, quattro, che sono la nostra allegria. Senza la nostra joint venture non potrei essere quello che sono».

Una professione, quella del medico di medicina generale, che è cambiata molto?
«Ho un mio studio dal 1962. Tutt'oggi seguo alcuni pazienti, a Osio Sotto: ho fatto tutta la trafila classica, le supplenze, girato l'intera Bergamasca. E certo non possono negare che molto sia cambiato. Una volta il medico di base era "il" medico, c'era un rapporto con i pazienti che non c'è più, ma è la società che è cambiata e un po' fa tristezza. Purtroppo l'apparato burocratico italiano carica sui medici una serie di impegni che nulla hanno a che vedere con la professione: spesso si rischia di diventare meri compilatori di ricette e di certificati. Ho però molta fiducia nel futuro, nelle prospettive dell'associazionismo: confido in una riduzione dell'impegno burocratico e in un recupero della clinica, in un dialogo e confronto tra medico e paziente. Una migliore organizzazione tra studi medici potrebbe far rivalutare l'apporto umano».

Torniamo all'Ordine: i progetti futuri?
«Gli obiettivi sono dominati dalla crisi: abbiamo per esempio il problema dei giovani medici, che come tanti altri professionisti si trovano spesso in una situazione di precarietà di contratti, ma d'altro canto hanno l'occasione di confrontarsi con un esodo di colleghi che va in pensione. Come Ordine puntiamo a un raccordo sempre più stretto con le università lombarde, anche per un orientamento più agevole alla professione. La comunicazione e l'informazione saranno i nostri obiettivi, senza dimenticare la terza età. Abbiamo stilato un Manifesto per la terza età, con linee di azione estese a tutta la popolazione anziana, per un collegamento tra istituzione, classe medica e territorio, inteso come l'intera società civile. A livello più ampio, l'Ordine di Bergamo punta a conseguire la depenalizzazione dell'atto medico, arricchita dallo strumento della conciliazione giudiziaria: l'Italia e la Polonia sono le due uniche nazioni del Vecchio Continente che configurano penalmente l'errore medico. È vero che se c'è deve essere perseguito, ma non criminalizzato, e non c'è alcuna velleità assolutoria in questo; in quest'ottica deve essere sempre più incisiva la campagna per una assicurazione per tutti coloro che esercitano la professione medica. Sia chiaro comunque, che l'Ordine, che è esso stesso magistratura, conferma a tutto tondo la sua fiducia nella magistratura del nostro Paese».

Parlava di comunicazione. Che ne pensa dei social network?
«Li uso, personalmente, da Facebook al sistema di telefonia Skype fino a Twitter. Come Ordine abbiamo fatto anche corsi di formazione e aggiornamento all'uso del pc e ritengo che l'estensione di queste piattaforme sia utile anche per facilitare la vita dei pazienti, soprattutto anziani. Di certo, verranno utilizzati anche nell'Ordine, per piccole community di colleghi, soprattutto per comunicazioni rapide e informative».

Ma quando lei non è all'Ordine e non lavora, cosa fa?
«Viaggio e sto con i miei nipotini: Giulio 9 anni, Veronica otto, Nicolò, quattro, e Nina di appena un anno. E poi vado a conoscere il mondo: ho visto molto, ma c'è ancora tanto da esplorare».

Il posto che le è piaciuto meno e quello che ha amato?
«Di sicuro all'ultimo posto metto il Giappone, lì mi sono sentito estraneo, alieno in un mondo di alieni. Al primo metto il Sudafrica».

E il viaggio che desidera fare?
«La Normandia. E poi ho un altro desiderio: imparare a ballare il tango».

Carmen Tancredi

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