Martedì lo sciopero della scuola:
è un «Ddl che non piace a nessuno»

Docenti, dirigenti scolastici, lavoratori della scuola dell’infanzia, personale Ata (ausiliario, tecnico, amministrativo), delegati - quelli eletti con una partecipazione di oltre l’80% dei lavoratori - e sindacalisti saranno uniti, martedì 5 maggio, in piazza nello sciopero contro il Disegno di Legge del Governo Renzi.

Un Ddl che «non piace a nessuno», dicono unitariamente i cinque sindacati più rappresentativi del comparto scuola Flc-Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals e Gilda, che dopo 7 anni scioperano insieme. A Milano si terrà una manifestazione con partenza del corteo da piazza della Repubblica alle ore 9.30 e arrivo all’Arco della Pace. Oltre che nel capoluogo lombardo, anche ad Aosta, Bari, Cagliari, Catania, Palermo e Roma si terranno grandi manifestazioni per dire no a una riforma che vuole tutto meno che una buona scuola.

A Bergamo, dopo quella unitaria del 30 aprile, lunedì 4 è in svolgimento all’istituto Natta di Bergamo una seconda assemblea provinciale organizzata da Flc-Cgil e da Proteo per analizzare i contenuti della riforma. «La riforma della scuola non si fa più per decreto, ma con un Disegno di Legge: e quali saranno i tempi di approvazione? Qui c’è il rischio di mancare le assunzioni per il prossimo anno scolastico, dunque innanzitutto proponiamo di scorporarle con un decreto» ha detto Elena Bernardini, segretario generale della Flc-Cgil di Bergamo, intervenendo all’assemblea.

«Ci sono elementi positivi, certo, come ad esempio il portale unico dei dati, la carta del docente per l’autoaggiornamento, il piano di assunzioni, il piano di innovazione digitale,…Tuttavia ci chiediamo: quale modello, quale tipo di autonomia emerge dal Ddl? Nel titolo V, la Costituzione prevede che “lo Stato nel dettare norme generali sull’istruzione” non possa pregiudicare l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Ma bisogna intendersi, l’autonomia è delle scuole non dei dirigenti. L’art 25 del Dlg 165 attribuisce al Dirigente Scolastici “poteri di direzione, coordinamento e valorizzazione delle risorse umane nel rispetto delle competenze degli organi collegiali”. Invece nel Ddl, rispetto al Piano presentato in autunno, la centralità si sposta dal docente al dirigente».

«Negli annunci il preside sceriffo, allenatore, direttore d’orchestra, sindaco (parole loro) testimoniano l’idea di un modello verticistico, con cui ci si illude che per magia l’uomo solo al comando possa garantire qualità. L’insegnamento non è mera esecuzione, serve un ruolo attivo e responsabile, le scelte sono regolate dalla necessità di condivisione delle decisioni del consiglio di classe, negli scrutini. Si prevede, poi, che il Dirigente Scolastico, sentito il Consiglio d’istituto, assegni un bonus annuale ai docenti di ruolo che ha natura di salario accessorio, è materia contrattuale!».

Rispetto agli altri punti deboli del Ddl, portatori di ripercussioni negative, il segretario Bernardini ha poi aggiunto: «Al capitolo degli albi territoriali, il testo unico (dlg 297/1994) prevede che siano i neoassunti a scegliere fra i posti disponibili, dunque come si regola la proposta di accaparrarsi docenti “bravi” di ruolo in altre scuole? Non è chiara la procedura: cosa si farà con un docente “conteso”? Si rischia una competizione fra scuole. Il Ddl, poi, si sostituisce alla contrattazione sia nazionale che d’istituto intervenendo con una legge su materie di contrattazione come l’organizzazione del lavoro, la distribuzione del salario accessorio, l’assegnazione di incarichi, la formazione, la mobilità».

«Nel Disegno di Legge si ignorano totalmente il personale Ata e il personale della scuola dell’infanzia: niente valorizzazione, niente piano di assunzioni (ma anche loro sono interessati dalla sentenza europea!), assenza di organico funzionale….. oltre ai pesanti tagli già decisi nella legge finanziaria e al blocco delle supplenze. Rispetto poi al binomio scuola-lavoro: diciamo sì all’alternanza ma no all’apprendistato precoce, a partire dal secondo anno! Bisogna salvaguardare almeno il biennio, per evitare scelte precoci. Non può affermarsi l’idea che l’azienda sia di per sé formativa; si rischia di appiattirsi sull’addestramento che è diverso dalla formazione e non fornisce competenze flessibili e neppure competenze di cittadinanza».

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