Una Sherlock Holmes in gonnella
a caccia dell'orso JJ5 sulle Orobie

C’è un Sherlock Holmes in gonnella sulle tracce di JJ5. Una giovane donna, fresca di laurea in veterinaria, che investiga in piena solitudine tra i boschi delle Orobie. Mentre Regione e Provincia cercano di mettere a punto strategie che consentano all’orso venuto dal Trentino di restare sulle nostre montagne senza fare troppi danni ad allevatori e apicoltori - ormai sul piede di guerra -, Chiara Crotti, bergamasca ventiquattrenne specializzanda in Scienze della natura, segue da mesi il giovane plantigrado, passando al setaccio il Parco delle Orobie alla ricerca di segni che ne testimonino la presenza.

L’estate scorsa la ragazza era stata incaricata di monitorare i grandi predatori sulle nostre montagne e il suo lavoro era inizialmente dedicato soltanto ai lupi, gli unici grandi predatori che risultassero in circolazione sulle prealpi, benché in numero limitato. Con l’entrata in scena di JJ5 l’attività della ricercatrice è diventata decisamente più impegnativa e frenetica.

Normalmente Chiara cerca tracce percorrendo i sentieri del Cai – vista la vastità del territorio non sarebbe possibile fare altrimenti – salvo precipitarsi sul «luogo del delitto» quando arriva notizia di predazioni ad opera dell’orso. Allora la ragazza molla tutto e corre sul posto; come sa bene ogni investigatore, prima si arriva dove il misfatto è stato compiuto e più possibilità ci sono di trovare tracce fresche. Tira fuori l’armamentario (macchina fotografica, metro, gesso, pinzette, schede da compilare e sacchetti per i reperti biologici) e comincia a fare rilievi e a raccogliere campioni destinati all’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale).

«Una volta ero nel bosco con il mio cane, un bastardino che quando posso porto con me – racconta –. Ha cominciato ad abbaiare, poi a ringhiare, a quel punto ho sentito dei versi e passi di fuga. Ho avuto la sensazione che fosse l’orso, ma non possono dirlo con certezza».

Chiara, e i ricercatori che verranno dopo di lei, dovranno scoprire il più possibile sul conto di JJ5 e dei lupi che vivono sulle Orobie. Solo monitorando questi animali con rigore scientifico si potrà mettere a punto un piano di azione per la conservazione dei grandi predatori e del patrimonio agricolo e zootecnico del Parco. Ci vorrà del tempo, ma conoscere le abitudini dell’orso consentirà di anticiparne le azioni e limitarne i danni. Con il risultato finale di favorire la convivenza tra il plantigrado e la popolazione montana.

La giovane ricercatrice sta analizzando da mesi la dieta di JJ5 e i resti delle sue prede, quelle selvatiche in particolare; mappa con minuzia gli spostamenti dell’orso, ne studia l’habitat e le abitudini e compara i comportamenti di JJ5 con quelli dei plantigradi che ormai cent’anni fa l’hanno preceduto. Il lavoro di Chiara terminerà alla fine di agosto, ma qualche frutto importante l’ha già dato.

Ecco cosa sappiamo, ad oggi, dell’orso bruno che dal maggio scorso vive sulle Orobie. Il plantigrado ha all’incirca quattro anni («è giovane, per lui non è ancora il momento di trovarsi una compagna»), ed è piccoletto («se si alza sulle zampe posteriori raggiunge appena il metro e sessanta, come dimostrano le impronte infangate lasciate sulla porta di un capanno»), si ciba in prevalenza di vegetali («erba, bacche e frutti selvatici rappresentano l’80% di ciò che ingerisce») e di insetti («è ghiotto di formiche»), ma ha imparato a integrare la dieta anche con animali predati (pecore, capre e da ultima ha sviluppato una certa passione per i pennuti).

«Quando all’inizio di marzo si è svegliato dal letargo, per un certo periodo si è cibato solo di carcasse di ungulati, quest’anno con tutta la neve che è caduta ne sono morti tanti – spiega Chiara – poi ha cominciato a cercare anche altro. È giovane, sta facendo le sue prime esperienze. Ha persino assaggiato del liquido refrigerante per motoseghe che ha trovato in un capanno a Lenna. La prova? Il flacone vuoto sul quale sono rimasti impressi i calchi dei denti».

Piuttosto scavezzacollo e imprevedibile nei suoi spostamenti, JJ5 parrebbe avere, nonostante tutto, più sostenitori che detrattori. «Nei boschi mi è capitato di imbattermi in escursionisti in cerca delle sue tracce e devo dire che durante i sopralluoghi non ho mai trovato allevatori incattiviti che si augurassero la morte dell’animale, nonostante avessero subito danni». La giovane faunista riconosce di essere di parte, confessa che le piacerebbe incontrare l’oggetto delle sue ricerche («Vederlo è uno dei miei sogni) e si dice certa che, dovessero trovarsi faccia a faccia lei e JJ5, il primo a scappare sarebbe lui, «perché è un animale selvatico e solitario e non ha la tendenza ad attaccare l’uomo, piuttosto fugge quando se lo trova davanti».

Resta il problema di tenerlo lontano da stalle e pollai. «Recinti elettrificati e cani addestrati sono le soluzioni migliori e se poi dovesse malauguratamente intensificare le predazioni, c’è sempre la soluzione del radiocollare, che ne segnalerebbe gli spostamenti in tempo reale e consentirebbe alle squadre di dissuasori di intervenire per tempo».

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Eco di Bergamo Le orme e il pelo di JJ5