L’Amazzonia tesoro
e terra di conquista

Il bergamasco Andrea Bonalumi, dirigente di Promos Italia, l’agenzia nazionale per l’internazionalizzazione delle imprese del sistema camerale, conosce bene il Brasile e, in particolare, l’Amazzonia. «Ho frequentato per anni il Brasile, è un Paese che conosco molto bene, così come l’area amazzonica, in particolare gli stati di Amazonas e Parà, nei quali ho lavorato collaborando a un progetto di sviluppo locale, cofinanziato dal Bid, il Banco interamericano di sviluppo, e legato all’utilizzo sostenibile del legno».

«Le importazioni italiane dal Brasile – spiega – negli ultimi anni sono aumentate per la quasi totalità dei settori produttivi. In particolare, si segnalano le ottime performance dei prodotti dell’industria alimentare e del settore agricolo, con la forte crescita dei cereali. Per quanto concerne la Lombardia, il trend è piuttosto in linea con quello nazionale, mentre a livello bergamasco c’è da segnalare un forte incremento di prodotti dell’estrazione, come ad esempio il ferro, +45,5% rispetto al primo semestre 2018, e alimentari, come frutta, verdura, cereali e soia, +17,3».

E che cosa esportiamo? «Il trend nazionale, regionale e provinciale relativo all’export verso il Brasile è pressoché il medesimo: la quasi totalità delle esportazioni italiane verso il Brasile, infatti, è rappresentata da prodotti industriali. Questo fatto conferma la tradizionale composizione dell’export italiano, che è basato su settori ad alto valore aggiunto e ad alto contenuto tecnologico. Componentistica per il settore automotive, macchinari, apparecchiature meccaniche, materiali elettrici, aeronavi, vaccini e prodotti ottici sono quelli che trainano il nostro export nel mondo e anche verso il Brasile».

«L’interscambio italiano con il Brasile – continua Bonalumi – ha raggiunto i 3,8 miliardi nei primi sei mesi del 2019 e quello lombardo i 713 milioni. Bergamo, con 75 milioni complessivi, rappresenta un nono circa del totale regionale. L’export, con 54 milioni, prevale rispetto all’import, che si attesta sui 21 milioni. Detto ciò, va segnalato che, nonostante i valori assoluti restino buoni, nel primo semestre del 2019 si è registrata una leggera contrazione rispetto allo stesso periodo del 2018: l’export bergamasco verso il Brasile, infatti, è diminuito dell’8,7%. Questi numeri saranno destinati a crescere nei prossimi anni, in particolare grazie alle ottime premesse contenute nell’accordo condiviso da Ue e Mercosur».

Quali sono le principali risorse economiche dell’Amazzonia, a cui è dedicato il Sinodo in corso di svolgimento a Roma fino al prossimo 27 ottobre? «Agricoltura, allevamento, industria mineraria, estrazione di minerali e idrocarburi sono le principali risorse dell’Amazzonia. Nel corso degli anni, però, il vero problema per le risorse amazzoniche è diventato l’agrobusiness, che ha attirato l’attenzione di imprenditori con l’obiettivo di sfruttare il terreno per le coltivazioni, in particolare della soia, per il pascolo dei bovini e per l’accaparramento di risorse minerarie preziose. Insomma, l’Amazzonia è diventata terra di conquista per affaristi senza scrupoli e gli ultimi segnali arrivati dalla recente assemblea dell’Onu, in questo senso, non sono affatto incoraggianti».

Nell’“Instrumentum Laboris” per il Sinodo dell’Amazzonia si legge: «Il modello di sviluppo limitato solo allo sfruttamento economico della ricchezza forestale, mineraria e idrocarbonifera della Panamazzonia incide sulla salute dei biomi amazzonici, delle sue comunità e dell’intero pianeta!» (paragrafo 84) Si può affermare che ognuno di noi abbia un debito ecologico nei confronti dell’Amazzonia? «L’Amazzonia non è considerata a caso il polmone del mondo. È una foresta tropicale che contiene davvero la vegetazione principale del nostro pianeta e la più grande biodiversità. Nella regione amazzonica sono presenti oltre 2,5 milioni di specie di insetti, decine di migliaia di piante e circa 2.000 uccelli e mammiferi. Nel solo Brasile un chilometro quadrato della foresta pluviale amazzonica contiene circa 90.000 tonnellate di piante. Ora, alla luce di questi numeri, risulta chiaro ed evidente il motivo per cui dovremmo proteggere questo patrimonio dell’umanità, mentre, al contrario, ci stiamo spingendo sempre più nella direzione di voler rendere fonte di business ciò che fonte di business non deve essere. E la responsabilità di ognuno di noi ritengo risieda principalmente nell’eccessiva indifferenza nei confronti delle questioni climatiche, ambientali e nel dar per scontato ciò che scontato non è. Il rischio è che quando ci accorgeremo del danno che noi stessi abbiamo causato al pianeta potrebbe essere troppo tardi per rimediare».

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