Lavoratori in mobilità presto in pensione
La Uil: «Il Governo sblocchi il decreto»

Cresce la preoccupazione fra i lavoratori in mobilità che si preparavano, alla scadenza degli ammortizzatori sociali, ad accedere alla pensione. Ad indirizzare un appello al nuovo Governo Monti perché affronti senza indugi la questione è la Uil.

Cresce la preoccupazione fra i lavoratori in mobilità che si preparavano, alla scadenza degli ammortizzatori sociali, ad accedere alla pensione. Ad indirizzare un appello al nuovo Governo Monti perché affronti senza indugi la questione è la Uil che sottolinea come il problema, a livello nazionale, coinvolga in tutto 16mila addetti per i quali era già pronto il decreto per la collocazione in mobilità in deroga fino alla prima finestra utile di uscita dal lavoro. A causa delle dimissioni del Governo Berlusconi e dei tempi tecnici per la formazione e l'insediamento del nuovo esecutivo, il provvedimento è, però, ancora fermo.

«Secondo i calcoli dell'Inps – sottolinea il segretario della Uil di Bergamo, Marco Cicerone – attualmente ci sono 10mila lavoratori, circa 300 dei quali nella Bergamasca, che potranno accedere alla pensione in base alle vecchie finestre secondo un criterio legato alla data di collocazione in mobilità fino all'ottobre 2008 e collegato alla “clausola di salvaguardia” riservata a quei soggetti che avessero maturato i requisiti pensionistici a partire dal 1° gennaio scorso ma limitata, appunto, a 10mila persone. Ne restano, a livello nazionale, altri 16mila – aggiunge Cicerone – che attendono il decreto per la mobilità in deroga e, al momento, rischiano di rimanere privi sia del trattamento di sostegno al reddito che della pensione stessa».

«E' urgente - rimarca il segretario generale della Uil di Bergamo - che il nuovo ministro del Lavoro, Elsa Fornero, sottoponga rapidamente in approvazione il decreto e definisca con l'Inps tutti i dettagli necessari pena il fatto che i lavoratori, con le nuove finestre oggi in vigore, rischiano di rimanere completamente scoperti da una pur minima copertura salariale».

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