Tempo determinato e diritti
Nuove norme e tempi stretti

Uno dei casi più recenti riguarda un ragazzo di 30 anni, assunto a tempo determinato in una grossa industria: dopo una serie innumerevole di contratti, interruzioni, proroghe e riassunzioni per coprire un ruolo non dettato da «picchi produttivi», è stato definitivamente licenziato.

Uno dei casi più recenti riguarda un ragazzo di 30 anni, emigrato dal sud e assunto a tempo determinato in una grossa industria Alimentare con più di 300 dipendenti: dopo una serie innumerevole di contratti, interruzioni, proroghe e riassunzioni per coprire un ruolo non dettato da «picchi produttivi» e parificato con molti «anziani» colleghi, il 30 dicembre scorso è stato definitivamente licenziato.

«A differenza di molti altri, per fortuna lui ha deciso di impugnare il provvedimento e grazie all'intervento dell'Ufficio Vertenze Cisl, che ha depositato al Tribunale del lavoro il ricorso potrà veder riconosciuti i suoi diritti, almeno dal punto di vista economico».

Giuseppe Vanini, responsabile dell'Ufficio Vertenze di via Carnovali è convinto che non siano tanti i lavoratori «consci delle possibilità di far valere i propri diritti nei confronti di contratti che troppo spesso vengono utilizzati in maniera fin troppo disinvolta. Noi facciamo mediamente oltre 50 vertenze l'anno su interruzioni di contratti a tempo determinato, ma è indubbio che questo sia un numero troppo basso rispetto alle migliaia di lavoratori che nella provincia e in tutti i settori merceologici (soprattutto quelli più interessati dalla stagionalità, come l'alimentare – agricolo, il grafico e il metalmeccanico) si vedono applicato questo tipo di rapporto di lavoro. C'è sicuramente una scarsa conoscenza del fatto che spesso l'interruzione del rapporto presenta problemi che, se denunciati, possono risolversi a favore del lavoratore».

Dall'inizio di marzo, tra l'altro, è entrata definitivamente in vigore una norma del Collegato Lavoro che abbassa dai 5 anni precedenti a soli 60 giorni i termini di presentazione di ricorso contro un licenziamento «sospetto», e, qualora la conciliazione tra lavoratore e azienda non produca effetti, concede altri 270 giorni per un'eventuale richiesta di apertura di una procedura giudiziaria. Le due cause maggiori di ricorso, spiega ancora Vanini, riguardano «il termine posto illegittimamente, ovvero una motivazione di assunzione non corretta, oppure la qualificazione tipologica dell'assunzione, cioè l'inquadramento del lavoratore».

È una situazione occupazionale che riguarda in misura maggiore giovani e donne, e nella stragrande maggioranza dei casi viene «amministrata» in modo non certo ortodosso, proprio come nel caso di Giacomo, l'operaio arrivato dal Sud nella fabbrica di dolci, assunto con contratto a tempo determinato dall'11 gennaio al 31 marzo 2010; riassunto dal 12 aprile al 30 giugno 2010, con proroga fino al 31 agosto. Assunto a tempo determinato dal 14 settembre al 17 dicembre 2010. Un nuovo contratto è stato aperto il primo gennaio 2011 e chiuso il 30 settembre, salvo poi prorogarli fino al 30 dicembre 2011.

A gennaio 2012 tutti i colleghi sono stati richiamati, tranne lui. Sembra anche che al suo posto sia stato assunto il familiare di un altro dipendente, nonostante Giacomo si fosse dichiarato disponibile a svolgere anche altre mansioni. «Tramite la Fai Cisl, la categoria che segue i lavoratori dell'industria alimentare, Michele ha fatto avere all'Ufficio Vertenze in tempo tutto il materiale per fare ricorso presso il tribunale. Le nuove norme, infatti, prevedono che passati i 60 giorni si perda ogni possibilità da far valere le proprie ragioni. Speriamo innanzitutto – conclude Vanini - che la Riforma del lavoro attualmente in fase di discussione possa fare chiarezza all'interno del Tempo Determinato, così da ridurre al minimo gli abusi che costantemente si compiono; poi, è comunque necessario che i lavoratori, in misura maggiore giovani e donne, prendano coscienza dei propri diritti e delle possibilità di farli valere».

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