Zonca, n. 1 Credito Bergamasco:
avrei preferito distribuire un euro

Banca, ma non solo. Il presidente del Credito Bergamasco, Cesare Zonca, parla a tutto campo dell'economia bergamasca, che ha davanti a sé un 2012 «difficile», della domanda di «credito buono» che rallenta, della crisi dell'edilizia e del futuro del manifatturiero.

Banca, ma non solo. Il presidente del Credito Bergamasco, Cesare Zonca, parla a tutto campo dell'economia bergamasca, che ha davanti a sé un 2012 «difficile», della domanda di «credito buono» che rallenta, della crisi dell'edilizia e del futuro dell'industria manifatturiera, che potrà ripartire in un domani non molto prossimo solo da basi tecnologicamente più avanzate. E parla di lavoro: «Non è la modifica dell'articolo 18 che cambia il mondo.

Presidente, dispiaciuto di aver tagliato la cedola con un utile in aumento?
«Sì».

Era però inevitabile.
«Avevamo pensato a un dividendo più alto. Poi è arrivata la lettera della Banca d'Italia, che non era certo un ordine militare, ma comunque una moral suasion, che invitava a non distribuire dividendi per il 2011. Lì ci siamo un po' arrabattati e siamo riusciti a dare almeno 50 centesimi, che non sono pochi. Come dividendo di una banca è una cifra anche importante, il 2,5-2,6% sul valore dell'azione, che oggi non è pochissimo. Ma io avrei preferito distribuire un euro».

Quando potrete tornare a un euro?
«Questo è un problema grosso. Noi abbiamo un patrimonio molto solido e forte. L'Eba chiede il core tier 1 al 9%. Noi siamo fra il 13 e il 14%. Quindi non è che questa vicenda ci preoccupi. Siamo una banca che ha sempre teso a patrimonializzare molto. Anche negli ultimi 20 anni abbiamo sempre accantonato somme rilevanti a patrimonio. Pure quest'anno decine di milioni. Questo patrimonio è una garanzia per azionisti e clienti. Ma contrariamente a quanto si legge dappertutto, la domanda di credito rallenta in modo incredibile. Intendiamoci, rallenta la domanda di credito buono, da parte di imprese solide e robuste con prospettive di andare avanti e produrre utili. Ci sono tante richieste di credito da parte di imprese in gravi difficoltà che non vogliono questi quattrini per investimenti, migliorare la produzione, ampliare i rapporti commerciali o motivi positivi ma per tappare buchi. Ora noi non possiamo dare quattrini per questo motivo. Tolti casi veramente meritevoli, ma non è facile trovare situazioni del genere».

Quindi per tornare a un euro ci vorranno anni?
«No. Vediamo. Credo che l'anno venturo la Banca d'Italia questo discorso non lo farà più. Se noi riuscissimo ad avere un risultato come nel 2011 probabilmente il dividendo di un euro potrebbe esserci. Naturalmente il mondo diventa sempre più difficile nel nostro settore».

Il Credito Bergamasco fa parte di un grande gruppo ma ha una sua identità distinta. Come vive le turbolenze di Borsa, i vincoli europei dell'Eba e la crisi finanziaria in generale?
«Noi abbiamo un patrimonio che ci mette a riparo da tante cose. Le turbolenze finanziarie hanno pesato più sulle grandi banche. Noi abbiamo una posizione fortunata perché siamo una controllata ma quotata e quindi dotati di una rilevante autonomia e facendo leva sul patrimonio, siamo un po' al riparo da queste vicende. Non siamo al riparo neanche noi invece dalle insolvenze, che sono tantissime. E siccome la mia regola fondamentale è che non ci deve essere neanche un centesimo che non venga cauzionato con fondi rischi adeguati, abbiamo un costo del denaro che non è basso. Vedo banche con un costo del denaro minore e sinceramente leggo queste cose con un po' di invidia perché non capisco come facciano, lavorando nei nostri territori, avendo gli stessi clienti e le stesse turbolenze, a fare accantonamenti tanto inferiori ai nostri. Spero di riuscire a impararlo in modo da fare altrettanto. Ma ho qualche dubbio».

Come vede il 2012 per l'economia bergamasca?
«Difficile. Ci sono settori consolidati che non hanno più paura di vedersi mancare la terra sotto i piedi. Altri addirittura sono in qualche evoluzione: soprattutto start up, aziende nuove, che hanno portato intelligenza e innovazione nella loro produzione. Ma ci sono altri settori in grande crisi, come l'edilizia. Non parlo delle imprese edili ma degli operatori immobiliari. Nel 2008-2009 hanno costruito grandi quantità di edifici finanziati anche dalle banche forse imprudentemente. Sono tutti lì invenduti. Però gli imprenditori devono pagare gli interessi alle banche perché il debito è rimasto. Questi immobili si svalutano drasticamente e invecchiano tanto che non sarà facile anche fra due anni venderli perché non hanno la qualità che devono avere gli immobili nuovi. Sul 2009 il valore delle aree fabbricabili è diminuito del 40-50%. Per il costruito almeno del 30%. Questo crea un problema grosso agli immobiliaristi, ma anche alle banche che li hanno finanziati».

Quali sono i settori positivi ai quali guardare?
«La meccanica sta andando abbastanza bene: esporta molto, ha tecnologia evoluta e ha prospettive serie. Ci sono una serie di aziende chimiche che hanno uno sviluppo molto positivo. Quello che è venuto meno a Bergamo è l'industria manifatturiera che era la spina dorsale: il tessile nelle valli e il suo aggregato è sparito al 90%. Solo alcuni sono sopravvissuti, di grandissima qualità. Rimpiazzare tutto questo non sarà facile. Di positivo c'è che la disoccupazione per ora è bassa».

Cosa pensa del modello Bergamo: è stato utopistico immaginare un rilancio del manifatturiero o è mancata la capacità di realizzarlo?
«Nel manifatturiero il costo fondamentale è la manodopera. È inevitabile il trasferimento dove questa costa la metà. In più il manifatturiero ha un grande bisogno di energia elettrica che costa mediamente il 50% in più degli altri Paesi europei. Quindi l'industria manifatturiera ha di fronte prospettive abbastanza grigie».

Quindi è stato illusorio.
«È un tentativo molto opportuno. Alla lunga probabilmente avrà effetti: l'industria manifatturiera potrà riprendersi quando al posto di 20 operai avrà un robot. Perché questo è il destino da noi se il manifatturiero deve andare avanti. Se sapremo sostituire all'uomo che lavora il robot avremo spazi importanti. Per fare questo bisogna investire importanti capitali e, si intenda bene cosa voglio dire, bisogna assumere ingegneri e non manovali che sappiano gestire questo tipo di produzione che diventa molto difficile e complicato, ma che se si riesce a realizzare potrà comportare in un futuro lontano la ripresa di creazione di posti di lavoro e di ricchezza per il Paese».

È una manifattura più avanzata.
«È una manifattura dove il costo del lavoro meccanizzato diventa come quello della Cina. Allora si possono fare qui una serie di cose che possono essere interessanti. Si capisce però che solo per cambiare la mentalità e perché un imprenditore si convinca a rischiare tutto quello che ha per mettere in pista una linea di produzione come questa ci vuole tanto tempo. Non è la modifica dell'articolo 18 che cambia il mondo: quello è un totem e basta. Quello che cambia il mondo è riuscire a dare agli imprenditori che guardano al futuro la fiducia che non verranno stroncati dalla burocrazia, non verranno strozzati dal sistema finanziario e che siano assistiti sui mercati nazionali e internazionali dai loro governi. I nostri imprenditori all'estero non hanno assistenza dal nostro Stato».

Ribaltando la prospettiva, cosa può fare una banca come il Credito Bergamasco per attrarre investimenti esteri?
«Una banca può dare finanziamenti e servizi, ma non è la banca che attira un investitore. L'investitore straniero è attirato da condizioni generali che gli permettono di fare impresa. Questo può accadere quando la burocrazia italiana che impedisce la finalizzazione di qualsiasi pratica se non in tempi biblici smetterà di essere così».

Il presidente della Camera di commercio Malvestiti ha chiesto un rappresentante di Imprese & Territorio nel consiglio del Credito Bergamasco. Cosa risponde?
«A me non l'ha chiesto nessuno. Non sono io l'azionista».

E se glielo chiedessero?
«Se me lo chiedessero, bisogna vedere chi mi presentano. Se mi presentano una persona di grandissima qualità che può dare un vero contributo alla gestione del consiglio della banca, farei tutte le valutazioni necessarie e sottoporrei all'azionista questo nome perché valuti se lo ritiene opportuno. Ma certo se mi propongono qualcosa che ha una natura squisitamente politica, no».

Il Creberg non è entrato nel progetto banca unica del Banco Popolare e ha sempre confermato la presenza in Borsa. Sarà sempre così?
«Spero di sì. La presenza in Borsa è uno stimolo al rispetto di tutte le regole, anche quelle che appaiono noiose e fiscali, che dà garanzia di una corretta gestione».

Dopo le 52 filiali entrate nel Credito Bergamasco da altre realtà del Banco Popolare, dovrebbe esserci un'uscita di sportelli. C'è già qualcosa di definito?
«No, non è ancora un progetto definito. È allo studio: si stanno valutando le opportunità e gli interessi della banca».

A luglio saranno 20 anni da presidente. Era meglio fare banca 20 anni fa o oggi?
«La banca è una vicenda che ti coinvolge. Svolgo questa attività da 20 anni ma ero stato in banche diverse prima per cui sono 30 anni che giro per banche. Certamente il mondo è cambiato. Ma come sempre ci sono problemi nuovi o diversi da affrontare. Questo dà notevole fascino a questo tipo di attività. Probabilmente, se avessi fatto solo l'avvocato avrei guadagnato molto di più».

Silvana Galizzi

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