Col Tfr crescerà lo stipendio. Ma...
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Il Tfr in busta paga porterebbe un aumento mensile consistente nello stipendio. Ma chi paga? Il lavoratore. Per i dipendenti del settore privato che lo chiederanno, potrà essere questo l’effetto dell’operazione inserita nel disegno di Legge di stabilità.

Il Trattamento di fine rapporto (comunemente detta liquidazione) è stato introdotto in Italia dalla Carta del lavoro del 1927. Stabiliva il diritto del lavoratore a un’indennità proporzionata agli anni di servizio svolti. Naturalmente nel tempo ci sono state varie riforme. La legge n. 297 del 29 maggio 1982 ha sostituito l’indennità di anzianità corrisposta a fine rapporto con il Tfr istituendo un Fondo di garanzia nazionale al quale possono rivolgersi i lavoratori di imprese in stato di insolvenza o dichiarate fallite, e affidandone la gestione all’Inps.

Il governo propone di inserire in busta paga fino al 100% del Tfr maturato durante l’anno (ma non negli anni precedenti). La scelta - va sottolineato - è su base volontaria: chi vuole potrà continuare a farlo maturare fino alla pensione.

Per Beppe Scienza, ordinario all’Università di Torino e grande esperto di fondi pensione, «il Tfr è uno degli investimenti più sicuri che possa fare un lavoratore». È infatti una forma di investimento senza intermediari, è una forma previdenziale a costi di gestione zero, è un accantonamento che garantisce il potere d’acquisto.

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