La Fondazione Pesenti a confronto
sulle nuove frontiere del welfare

Protagonisti alcuni dei principali esponenti istituzionali, accademici e delle maggiori iniziative di imprenditorialità sociale che mirano all’innovazione e alla sostenibilità di lungo periodo.

La crisi economica ha minato le condizioni di welfare, in passato tradizionalmente «delegate» in ampia misura allo Stato e a enti pubblici. Costruire modelli più efficaci ed efficienti è la sfida avviata dal «venture philanthropy» - a cui guardano anche Fondazioni e Terzo settore - puntando su competenze professionali e modalità imprenditoriali in grado di offrire strumenti e soluzioni sostenibili sul piano economico e adeguate sul piano sociale «Italiani, brava gente?». È partita da una provocazione di Nando Pagnoncelli la riflessione promossa dall’annuale convegno di Fondazione Pesenti, che ha visto protagonisti alcuni dei principali esponenti istituzionali, accademici e delle maggiori iniziative di imprenditorialità sociale che mirano all’innovazione e alla sostenibilità di lungo periodo.

«Portare al centro dell’attenzione la necessità di affrontare le complessità di un nuovo sistema di welfare è non solo importante ma urgente - ha sottolineato Carlo Pesenti, presidente della Fondazione e consigliere delegato della holding Italmobiliare Spa – in quanto è in primo luogo indispensabile una consapevolezza condivisa delle sfide che la società si trova ad affrontare. Su questa idea, e sulla necessità di elaborare nuovi strumenti culturali e finanziari abbiamo impostato la mission della nostra Fondazione, che mira a diventare uno strumento per la promozione e la diffusione di una cultura dell’innovazione, tramite lo sviluppo di idee, progetti e azioni capaci di creare un impatto positivo a livello sociale».

Un nuovo modello di welfare che deve inevitabilmente fare i conti con stringenti vincoli di bilancio, ha ricordato Elsa Fornero, professore ordinario di economia all’Università di Torino ed ex ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. «È necessario evidenziare i vincoli di bilancio che hanno imposto politiche di welfare più rigorose. Il sistema pensionistico pubblico è un contratto fra generazioni che spesso nella realtà finisce per essere sbilanciato danneggiando quelle più giovani. Pertanto sono essenziali nuovi strumenti di tutela e salvaguardia dei diritti primari della persona che siano insieme sostenibili sul piano economico e giusti sul piano sociale. Le riforme devono essere spiegate e intese come investimento. Nel breve sono un sacrificio ma creano le aspettative per un miglioramento nel domani».

Un complesso percorso verso la Venture Philanthropy, quello del convegno 2016 della Fondazione Pesenti, che si è articolato in due panel partendo da un’analisi economico/istituzionale focalizzata sul sistema di welfare attuale e sulle situazioni di vulnerabilità generate dalla crisi e proseguendo con un dibattito sulle opportunità di ottimizzare le risorse a disposizione utilizzando elevate competenze professionali e manageriali, senza flettere dall’obiettivo del sostegno sociale. I due momenti del convegno sono stati moderati dai giornalisti Federico Fubini e Annalisa Bruchi, mentre l’intervento del comico Enrico Bertolino ha saputo proporre un racconto diverso della nuova filantropia, leggero ma nello stesso tempo forte ed esplicito nel sostenere la necessità di un approccio nuovo che sia in grado di coniugare l’entusiasmo del no-profit e l’organizzazione dello yes-profit.

Non è un caso che il termine Venture Philanthropy sia inglese, in quanto il mondo anglosassone, specialmente nordamericano, è stato un pioniere in questo ambito. Ed oggi anche in Italia il «corporate giving» non rappresenta più un modello soddisfacente per le iniziative che vogliono collocarsi in un arco di lungo periodo, in grado di conseguire risultati sociali positivi ma anche sostenibili economicamente. «Nel nostro Paese il mercato degli investimenti ad impatto sociale si connota però ancora come un mercato giovane e caratterizzato da una struttura complessa ed articolata», ha sottolineato Mario Calderini, professore ordinario Politecnico di Milano, vice Presidente della Fondazione PoliMi e delegato italiano della Task Force del G8 per la Social Impact Finance. Tuttavia, come evidenziato da Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere «emergono i dati incoraggianti emersi dal rapporto Symbola “Coesione è competizione”, secondo i quali le cifre relative al 2016 sulla responsabilità sociale d’impresa sono quelli più elevati percentualmente degli ultimi 15 anni».

In questo percorso verso un nuovo welfare, l’Italia non può non misurarsi con il panorama internazionale e in questo senso un segnale forte è venuto dalla riforma della cooperazione per lo sviluppo, votata con largo consenso da tutte le forze parlamentari. «La nuova riforma innova profondamente la cooperazione italiana» ha sottolineato la parlamentare Lia Quartapelle, che è stata relatrice del testo alla Camera, “allineandola agli standard internazionali e riconoscendo una collaborazione tra Paesi partner e non più subordinati. Una riforma che inoltre mira a democratizzare le nostre politiche di cooperazione, affidando una delega chiara a un viceministro, istituendo un’Agenzia della Cooperazione, creando un fondo internazionale per lo sviluppo e affidando al Parlamento un ruolo di controllo e garanzia sulla programmazione triennale della cooperazione».

La prospettiva internazionale è stata ripresa da Gianni Riotta, appena rientrato da un intenso tour americano al seguito della campagna elettorale, che ha ricordato come anche gli Stati Uniti – pur in una situazione di crescita favorevole rispetto allo scenario europeo – si trovano a vivere all’interno di una società sempre più polarizzata in cui l’iniquità distributiva sembra destinata ad accrescersi ulteriormente. Dalla valutazione dello scenario economico/istituzionale il confronto si è poi concentrato sulle possibili soluzioni applicabili nel nostro Paese. «I nuovi attori del welfare non devono limitarsi a sostenere economicamente le imprese che nascono per rispondere ai crescenti bisogni sociali” ha evidenziato Luciano Balbo, presidente e fondatore di Oltre Venture, prima società di venture capital sociale italiana “ma devono mettere a disposizione dei progetti finanziati le competenze professionali e il supporto organizzativo necessari a realizzarli».

«Un’economia della collaborazione», ha aggiunto Elena Casolari, presidente Esecutivo di Opes Impact Fund e AD della Fondazione Acra «è un passo necessario affinchè le rinnovate realtà delle Fondazioni e delle imprese sociali possano colmare il gap lasciato dai governi e da un intervento puramente volontaristico, arrivando ad erogare i servizi necessari con una maggiore efficacia, attraverso un capitale paziente e ambizioso». Un capitale che Paola Pierri, fondatrice di Pierri Philantrophy Advisory ed ex DG banca investimenti Unicredit, ritiene sia formato da strumenti, cervelli e persone che dal mondo del «business is business» passano a qualcosa che non è né business, né volontariato. L’idea è che il bene debba stare in piedi da sé, sfruttando anche gli strumenti utilizzati dal mondo della finanza. Gli impact investments sono investimenti fatti in imprese e/o fondi con l’obiettivo di generare un ritorno sociale misurabile, oltre che un rendimento finanziario.

La direzione che emerge è quella di un contesto in cui il sostegno al sociale e allo sviluppo non è più legato solo alla logica del non profit, ma si può realizzare attraverso i meccanismi dell’economia di mercato e l’attività imprenditoriale. In questo senso un esempio importante viene dall’esperienza di Vontobel Private Banking, recentemente riconosciuta come «migliore banca privata» della Svizzera nel 2016 da uno dei ranking più prestigiosi, che ha assunto un ruolo attivo anche nella promozione della grande finanza internazionale per una re-definizione del welfare. Tra le diverse iniziative - nelle parole del Chief Executive Officer Zeno Staub - il progetto pilota e in collaborazione col settore pubblico «Indigo Digital» per consentire il flusso delle rimesse verso i Paesi di origine degli immigrati (che rappresentano uno dei flussi finanziari più importanti per i paesi in via di sviluppo) con costi contenuti.

Quello degli interventi nei paesi emergenti è un tema delicato su cui è da anni concentrata l’attività del Cesvi, che, come ha messo in risalto il presidente Giangi Milesi, fonda la sua filosofia d’azione nella promozione del protagonismo e della mobilitazione collettiva dei beneficiari per favorire il loro progresso. Per questa ragione il Cesvi è fortemente impegnato affinché gli aiuti internazionali non si riducano a mera beneficenza e affinché nel percorso della riforma della cooperazione internazionale possa crearsi un’idea di partnership positiva, dove le Ong non abbiano un ruolo subalterno, ma siano chiamate a garantire la sostenibilità sociale e ambientale di attività in cui le imprese operano per garantire la sostenibilità economica.

«Oggi non è più pensabile lavorare sullo sviluppo economico dei Paesi senza uno stretto contatto con il settore privato» ha evidenziato Emilio Ciarlo, dirigente della nuova Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. In particolare Ciarlo si è soffermato sugli impatti della riforma, che mira a sostituire un passaggio di risorse individuale, da uno Stato all’altro, con un trasferimento capace di coinvolgere un sistema di esperienze. Il pubblico non è più l’attore principale ma piuttosto un facilitatore, capace di creare una convergenza tra tutti gli attori, pubblici e privati, coinvolti nel mondo della cooperazione Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, nel suo intervento di chiusura, ha poi voluto sottolineare come l’evoluzione del welfare nelle realtà locali passa attraverso il concetto di cittadinanza attiva. «Il welfare è una espressione della cittadinanza – ha sottolineato - Deve essere continuamente rigenerato per contribuire alla qualità della vita anche attraverso le reti sociali. Quello che vogliamo sviluppare è quindi il welfare partecipato di comunità».

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