Squinzi: senza una crescita doppia
torneremo ai livelli pre-crisi solo nel 2022

«Non possiamo accontentarci di una crescita attorno all’1% annuo. Abbiamo bisogno di almeno il doppio per recuperare in un tempo ragionevole il terreno perduto. Se rimaniamo inchiodati ai ritmi di crescita attualmente previsti non torneremo ai livelli pre-crisi prima del 2022».

Lo ha sottolineato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi parlando a Bergamo. «Sui tempi di recupero occorre molta attenzione perché la coesione sociale ha finora tenuto al di là di ogni aspettativa. Per preservarla come un bene prezioso, dobbiamo approntare anche adeguate politiche di innovazione del welfare» ha aggiunto.

«Non siamo all’anno zero, un pezzo di strada lo abbiamo già fatto, perciò, a mio giudizio, non completare il quadro delle regole sarebbe un errore». È quanto ha sostenuto il presidente Squinzi parlando all’assemblea generale della confindustria di Bergamo in riferimento al nodo delle relazioni sindacali e del rinnovo dei contratti nazionali. «Se rivendichiamo il diritto di essere noi stessi a regolare i nostri rapporti - ha spiegato Squinzi - piuttosto che attendere che si proceda per legge al nostro posto, se crediamo nelle regole, dobbiamo essere conseguenti e completarne il quadro. Abbiamo fatto un importante accordo sulla rappresentanza, ora serve mettere ordine nelle regole della contrattazione, per accompagnare i rinnovi contrattuali che sono alle porte. Questa è oggi la mia visione e il mandato che io ho ricevuto dagli organi del sistema».

Squinzi, che martedì 6 ottobre a Milano incontrerà le associazioni di categoria per fare il punto della situazione sullo stato delle relazioni sindacali, ha ribadito come occorre «assolutamente recuperare competitività e la contrattazione collettiva deve sostenere gli sforzi che si compiono in questa direzione». In quest’ottica, i legami fra dinamica dei salari e miglioramenti della produttività devono essere resi più forti e stringenti». «Se c’è una disponibilità in tal senso benissimo - ha concluso Squinzi - se invece quanto avevamo stabilito insieme viene derubricato di valore, se si fa pretattica comprando il tempo e sfidando la buona fede dell’interlocutore, allora il nostro sistema troverà un diverso punto di intesa e di equilibrio. È forte e responsabile, su questo non ho alcun timore». In sostanza, dunque, o si apre un tavolo per la definizione delle nuove regole contrattuali o Confindustria sarà costretta a considerare superato un modello di rapporti tra le parti.

«Ho parlato spesso di manine anti-industriali, ma avrei dovuto precisare che dietro quelle mani c’è un’Italia che è cresciuta in una diffusa cultura anti-industriale. Perché si associa l’industria più all’inquinamento che agli incredibili risultati raggiunti in campo energetico e della sostenibilità? - ha detto Squinzi -. Perché si dimentica che la ricerca e l’industria hanno cambiato il volto di questo paese, le sue aspettative di vita, la istruzione, la sua apertura al mondo?».

In Italia, ha aggiunto Squinzi, esiste «un brodo di cultura che ha come risultato una falsa idea dell’impresa, premessa ottimale per le tante norme anti industriali». «Norme e regole che pungolino l’industria a darsi traguardi ancora più ambiziosi - ha proseguito Squinzi -, sono positive se sono ragionevoli, se offrono una cornice di certezza e non di punizione, un orizzonte sufficientemente lungo per adeguarsi, e se tengono conto di quanto avviene oggi nella competizione globale. Quelle che puniscono irragionevolmente l’industria italiana favoriscono la concorrenza estera, questo deve essere chiaro a tutti. I complicatori, gli astrusi normatori, i burocrati ciechi, forse non sanno di essere anche agenti di commercio della nostra concorrenza».

«Se penso invece - ha concluso - a norme sensate, semplici e trasparenti che favoriscano l’evoluzione della specializzazione produttiva italiana, penso a ciò che può dare un’industria sempre più innovativa, sostenibile per l’ambiente, in grado di innalzare ulteriormente la qualità della vita e del reddito, la crescita economica e l’occupazione».

«Senza crescita, e questa ormai è chiaro a tutti non si fa senza industria, l’Unione europea è destinata a diventare marginale sullo scacchiere mondiale e a condannarsi a un progressivo impoverimento». «Le politiche economiche che hanno guidato l’azione dell’Europa in questi anni - ha spiegato Squinzi - abbiano generato finora risultati deludenti in buona parte degli Stati dell’Unione, Italia inclusa. La Commissione europea ha faticosamente avviato la costruzione di un modello di crescita molto lontano dagli obiettivi che erano stati prospettati. Attendevamo speranzosi l’industrial compact e in quella posizione di attesa ci hanno lasciati».

Gli Stati Uniti, ha sottolineato il presidente di Confindustria, al contrario spingono decisi su una lunga fase di disponibilità di energia a basso costo e sull’innovazione portata dalle tecnologie It. «La politica industriale europea non c’è ancora - ha concluso Squinzi - e certo non può essere intesa come la somma, peraltro spesso incoerente, di un sistema fatto di un po’ di incentivi e sostegni agli investimenti, subito messi in discussione da regolamentazioni di difficile comprensione e dubbia utilità. L’Europa cerca un “modello di nuova crescita” che vuole combinare l’alta efficienza e produttività, la coesione sociale, la sostenibilità. Una tale visione economica ha bisogno di una solida base manifatturiera, di servizi ad essa collegati di alto valore e di un ecosistema interno favorevole alla concorrenza e all’innovazione. Ha bisogno di infrastrutture adeguate, di un robusto sistema di spinta della ricerca, di una domanda pubblica che funge da stimolo all’innovazione e alle produzioni di qualità, della formazione diffusa. Ha bisogno di investimenti robusti».

La relazione che lega l’innovazione del sistema manifatturiero delle imprese bergamasche allo sviluppo e alla crescita del territorio della provincia è stata al centro dell’assemblea generale di Confindustria Bergamo, in programma all’ex chiesa di Sant’Agostino, in Città Alta, ora divenuta nuova aula magna dell’Università di Bergamo.

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