Accogliere i profughi
su scala mondiale

Tutti – afghani, siriani, iracheni, palestinesi, eritrei, nigeriani e altri che fuggono da nazioni disastrate – vogliono venire a stabilirsi in Europa. Preferibilmente, in quei Paesi come Germania e Svezia che offrono servizi sociali più generosi e (forse) maggiori occasioni di lavoro. L’Unione europea, Berlino in testa, si sta finalmente accorgendo che questa grande migrazione non è un problema dei Paesi di confine, Grecia, Italia, adesso anche Ungheria, ma un problema europeo.

La Merkel ha fatto un primo, generoso passo dicendo che il suo Paese accoglierà tutti i rifugiati siriani, indipendentemente da dove si registreranno: solo la Gran Bretagna alza sempre più le barricate. Il premier Matteo Renzi, percependo questi mutamenti, ha chiesto formalmente di superare le regole di Dublino creando un «diritto d’asilo europeo». Certo, sarebbe un passo avanti, ma, tenuto conto dei numeri, non è sufficiente e forse neppure quello giusto. Con ormai milioni di persone che bussano alle porte del nostro continente, e che sarebbero incoraggiati da un allargamento delle maglie, bisogna trasformare il problema da europeo in mondiale.

Non ha senso che l’Unione europea, una delle aree del mondo più densamente popolate e per giunta in precaria salute economica, si faccia da sola carico di un dramma che ha origini principalmente in Medio Oriente, in Asia e in Africa, e venga per giunta messa sul banco degli imputati per il suo presunto egoismo. È giusto – addirittura obbligatorio in base a quanto scritto nella Convenzione di Ginevra del 1951 – accogliere i disperati che fuggono da guerre civili e persecuzioni, ed evitare nei limiti del possibile tragedie come quelle del canale di Sicilia o dell’autostrada Budapest-Vienna; ma non c’è scritto da nessuna parte che costoro possano decidere il Paese in cui vogliono stabilirsi, e non è neppure concepibile che la Germania, per la sua reputazione di Paese più prospero d’Europa, accolga per chissà quanto tempo ancora 800 mila persone l’anno senza che la popolazione prima o poi si ribelli.

Perciò, se non vogliamo che l’Europa sia davvero sommersa di rifugiati (e di migranti economici che riescono a spacciarsi per tali o comunque, una volta entrati nell’area di Schengen, vi restano come clandestini), dobbiamo allargare l’orizzonte: a risolvere un problema di queste dimensioni, che coinvolge tre continenti, non deve essere l’Unione europea, ma l’Onu. Le Nazioni Unite dispongono di un Alto commissario per i rifugiati, che non ha mai mancato di bacchettare i singoli Stati per supposte violazioni delle regole. Adesso deve smettere di predicare e passare all’azione.

Prenda atto che l’Europa da sola non riuscirà mai, se non a rischio di gravi sconvolgimenti, a fronteggiare un fenomeno che non solo è epocale, ma anche destinato a prolungarsi nel tempo, perché l’Isis, le guerre civili, le distruzioni di intere città, la miseria prodotta dalla inefficienza di tanti governi e le desertificazioni non scompariranno certo improvvisamente e per incanto.

L’unica soluzione ragionevole è di coinvolgere nella gestione di questo tragico capitolo di storia tutto il globo, e in particolare quei Paesi ancora relativamente poco popolati che sarebbero in grado di assorbire milioni di persone non solo offrendo loro l’occasione di rifarsi una vita, ma anche con proprio vantaggio: penso al Canada, all’Argentina, all’Australia (che peraltro deve già fronteggiare un vero assalto da parte dei popoli dell’Asia sudorientale), alla stessa Russia la cui popolazione è in rapido declino e in cui esiste già un mix di decine di etnie diverse.

Una redistribuzione dei profughi su scala mondiale, gestita dalle Nazioni Unite, presenterebbe certo molte difficoltà: ci sarà chi si trincererà dietro la crisi economica, chi non accetterà rifugiati musulmani, chi vorrà più soldi, e ci saranno anche rifugiati che non vorranno saperne di trasferirsi in altri continenti. Bisognerebbe anche aumentare il budget dell’Onu, consentirgli di reclutare nuovo personale, assisterlo quando serve (Libia?) con spedizioni di Caschi blu. Ma sarebbe anche la dimostrazione che, quando ci vuole, l’Organizzazione delle Nazioni unite è capace di qualcosa di veramente importante.

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