Astensione, numeri choc
Il Pd arretra, Renzi isolato

Innanzitutto colpisce la bassa partecipazione al voto. Un crollo di dieci punti nel secondo turno rispetto ad una quota già bassa nel primo, sta a dire che cresce la disaffezione non solo verso la politica in generale ma persino nei confronti della politica locale dove gli interessi, le persone, le competizioni sono più prossime al cittadino-elettore. E questo è il primo punto che emerge da una prima analisi del test amministrativo che ha coinvolto più di cento comuni italiani andati al ballottaggio tra i quali tre capoluoghi di regione e parecchi capoluoghi di provincia.

Il secondo punto riguarda il Pd che arretra un po’ dappertutto (partiva con 24 sindaci uscenti contro dieci del centrodestra) e soprattutto perde Genova, un tempo roccaforte operaia, città dei camalli, degli scioperi testardi e dei disordini del 1960 contro il congresso del Msi e il governo Tambroni, insomma una delle realtà «rosse» per eccellenza, e che adesso passa al centrodestra. Aggravante: questa volta ad appoggiare il candidato «progressista» erano un po’ tutte le anime della sinistra e non c’è stata la divisione fratricida che ha già fatto perdere al Pd la guida della Regione Liguria a vantaggio di Forza Italia. Dunque c’è proprio un rovesciamento di fronte: Genova e buona parte della Liguria dicono ciao ai vecchi amministratori – che di sicuro negli ultimi anni non hanno brillato né per fattività né per concordia – e aprono le braccia ad una «nuova alleanza» tra Forza Italia e Lega cui il governatore Toti e Salvini lavorano da tempo anche in polemica con Berlusconi (che ora dovrà prenderne atto).

Allo stato il Pd perderebbe anche L’Aquila, città simbolo per molti aspetti e sempre per cederla a Forza Italia. Tutto questo naturalmente verrà addebitato a Matteo Renzi, che pure si è defilato, probabilmente annusando la sconfitta, e assisteremo da questa mattina ad una rissosa riapertura del congresso del Pd e ad una infinita ricomposizione scomposizione dei mille coriandoli della sinistra. Una cosa è sicura: quando si va al ballottaggio, il Pd perde perché non riesce a conquistare voti fuori del proprio perimetro: è un po’ l’effetto referendum che si ripete. Il voto, con la conquista simbolica di Genova, riporta al crocevia dei giochi politici nazionali il centrodestra, e questo sicuramente è un vantaggio per Silvio Berlusconi che riconquista una sua centralità. Tuttavia proprio la vittoria di Genova porta in luce – guardando alla prossima legislatura - un asse pro-leghista che non è esattamente nei piani del Cavaliere, semmai più propenso ad una grande coalizione centrodestra-centrosinistra di stampo «europeo».

Terzo elemento: i grillini non solo sono rimasti fuori da tutti i ballottaggi; non solo si sono «suicidati» a Genova, la città di Beppe Grillo che vi ha imposto un suo candidato contro il volere della base ed è stato ora sonoramente bocciato, ma soprattutto vedono il reprobo Pizzarotti di Parma trionfare nella sua città sconfiggendo il candidato del centrosinistra dopo aver sorpassato con facilità quello «ufficiale» del movimento Cinque Stelle. Da Parma potrebbe partire qualcosa di nuovo all’interno del movimento in grado di scuotere il fragile vertice battezzato da Grillo e da Casaleggio. Ultimo elemento: a Verona un altro eretico, l’ex sindaco leghista Tosi viene sconfitto dal centrodestra e dalla Lega uniti, nonostante l’appoggio del centrosinistra cittadino. Come si vede gli elementi di questo turno amministrativo parziale sono tutti significativi sotto il profilo della politica nazionale. Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo dovranno fare i conti con questi numeri.

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