Azzerare la povertà?
La risposta è il lavoro

Nel programma in dieci punti del centrodestra, siglato da Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, compare questo obiettivo: «Azzeramento della povertà assoluta con un grande Piano di sostegno ai cittadini italiani in condizione di estrema indigenza, allo scopo di ridare loro dignità economica». Non viene indicato da dove arriverebbero le coperture di un tale ambizioso proposito. Ma questa è una mancanza anche dei programmi di altre forze politiche in corsa per il voto del 4 marzo prossimo. Tra i dieci punti c’è anche il «rimpatrio di tutti i clandestini», che, proprio per essere clandestini, non hanno un domicilio e sono quindi difficilmente reperibili nella loro totalità, come si propone il centrodestra.

Ma torniamo all’azzeramento della povertà assoluta. L’Istat stimava nel 2016 un milione e 619 mila famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila persone: dati sostanzialmente stabili rispetto al 2015. La politica dei sussidi per «ridare loro dignità economica» è comprensibile, ma ha dei costi da sostenere. E, soprattutto, la dignità economica passa per il lavoro, il vero, grande problema di questa epoca.

La dignità umana e il lavoro sono strettamente collegate. Molti dei capifamiglia di quei nuclei in povertà assoluta hanno perso il posto ed hanno un’età (spesso intorno ai cinquant’anni) per la quale sono troppo giovani per andare in pensione e vengono invece considerati troppo su di età per un’altra occupazione. Oltretutto in molti casi non possiedono competenze spendibili in quelle fasce di mercato alla ricerca di manodopera. In questo senso vivono una situazione drammatica, in una terra di mezzo che sembra non avere via d’uscita.

Un appiglio è il reddito d’inclusione (Rei) varato dal governo Renzi. La parola che fa la differenza è inclusione, cioè il tentativo di includere persone che si trovano in quella terra di mezzo attraverso un percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Sociale perché chi vive situazioni di povertà estrema spesso se ne vergogna e tende ad isolarsi, a perdere la speranza di un cambiamento positivo. Un cambiamento che ha più probabilità per chi ha una rete di sostegno, parentale o amicale.

Nelle pagine di cronaca oggi diamo conto delle richieste di accesso al Rei in città e provincia: in poco più di un mese sono state 2 mila 700, nel solo capoluogo 874. Il dato è destinato a crescere perché non c’è una scadenza e l’accesso è aperto a chiunque maturi i requisiti. Dal luglio prossimo poi verrà meno il requisito familiare e quindi il numero delle richieste lieviterà ulteriormente. Per il 2018 sono stati stanziati 20 milioni per la Bergamasca, destinati a sostenere 4.500 famiglie.

Una delle critiche rivolte dall’opposizione al Rei, e quindi al governo Renzi, fu proprio la limitatezza delle risorse complessive messe a disposizione. Staremo a vedere, nel caso, dove verranno reperite quelle per l’azzeramento della povertà assoluta. La parola azzeramento sa molto di utopia, in un mondo nel quale si allarga la forbice tra ricchi e poveri per via di un modello economico iniquo. Prendersi cura della correzione di questo modello in tutta evidenza non è argomento della campagna elettorale, che si tiene lontana dai veri nodi delle questioni, lasciando il popolo della terra di mezzo privo della dignità che solo un lavoro può dare.

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