Bergamo e il turismo
Di rendita non si vive più

Rimandati a settembre. E dovremo studiare e applicarci per superare l’esame. I professori stranieri che insegnano al corso di laurea in turismo dell’Università di Bergamo ci hanno spiegato due o tre cose che noi, chiusi tra le Mura venete, non avevamo messo a fuoco. Intanto ci hanno detto che vivere di rendita non si può più.

Avere una città unica, ricca di bellezze storiche e artistiche, in una posizione invidiabile tra laghi, montagne e pianura, a un tiro di schioppo da una metropoli come Milano non è sufficiente per attrarre i turisti, o meglio i visitatori come li chiamano loro, qualcosa di più di un viaggiatore, qualcuno che ci viene a trovare e a scoprire con la speranza (nostra) che torni in futuro. Se non sapremo conquistarli non si fermeranno, non faranno acquisti, non passeranno nemmeno un paio di notti in città, e una volta tornati a casa non parleranno bene di noi ad amici e parenti, né sui social network, veicolo di promozione ormai ineludibile.

Non sono molte le cose da fare per sviluppare il turismo a Bergamo, spingendolo verso il salto di qualità – ci insegnano svizzeri, tedeschi e olandesi, più avanti di noi in questo campo ¬ e non servono nemmeno tanti soldi. Migliorare i servizi, per primi i trasporti, che devono essere più efficienti ed economici. Corse degli autobus più frequenti e taxi meno cari. E la segnaletica, perché non basta avere un bel monumento o un bel museo se nessuno lo conosce e se per raggiungerlo bisogna fare la caccia al tesoro. Farsi conoscere, che tradotto significa marketing e comunicazione integrate, anche con il territorio circostante. In altre parole promuovere il «brand Bergamo», come raccomanda Terry Stevens, professore inglese con il viso alla Nick Nolte, consulente di governi e organizzazioni di mezzo mondo.

Non snaturarsi, valorizzare le proprie peculiarità, proporre un pacchetto che comprenda arte, cultura, gastronomia ed esperienze nuove. Quel turismo «esperienziale» che i nuovi viaggiatori vanno cercando e che in Italia potrebbe essere sviluppato con facilità. Gli esperti stranieri insistono molto sui percorsi enogastronomici, il cibo italiano è famoso nel mondo, perché non approfittarne? E sulla cintura verde che circonda la città, quel Parco dei Colli che i turisti stanno iniziando a conoscere e apprezzare. Diventare più internazionali, farsi conoscere di più oltre le Mura, valorizzando quel che abbiamo, a cominciare da storia e tradizioni, natura e paesaggio. Una ricetta buona anche per il mercato nazionale, ingolosito dai voli low quanto gli stranieri.

Altro consiglio ricorrente: smarcarsi da Milano. Troppi ci vedono ancora come una città satellite del capoluogo lombardo, anche per via dell’aeroporto di Orio, considerato dagli stranieri il terzo scalo milanese. Un luogo di transito e non una porta d’accesso alla città. Se solo riuscissimo a dirottare in casa nostra una parte dei viaggiatori in transito dallo scalo di Orio (obiettivo primario nei sei mesi di Expo), le conseguenze sull’economia cittadina sarebbero evidenti. E forse il momento è quello giusto, con l’Accademia Carrara pronta (incrociamo le dita) a riaprire le porte, un centro cittadino in cerca di rilancio, Bergamo Alta destinata a trovare una vocazione ben definita, se non vuole trasformarsi in un bazar per turisti mordi e fuggi.

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