Berlusconi, c’è sempre
e spariglia i fronti

Silvio Berlusconi, si sa, è un combattente nato: detrattori ed estimatori almeno su questo sono concordi. E da vecchio combattente, il fondatore di Forza Italia e del centrodestra italiano, lo sdoganatore della destra ex missina e dei secessionisti della Lega bossiana, ha deciso di riprendere in mano le sorti delle sue creature politiche. Le vicende giudiziarie, l’estromissione dal Senato e prima ancora dal governo sull’onda della crisi economica, e poi ancora le questioni di salute, senza dimenticare le vicissitudini del suo imperoeconomico, soprattutto dopo la fine del cosiddetto «Patto del Nazareno» con Matteo Renzi hanno reso evanescente la figura di Berlusconi, e molti ne prevedevano l’inevitabile scomparsa dalle scene in parallelo con la crisi di Forza Italia.

Secondo numerosi osservatori, in assenza di eredi politici di Berlusconi, l’unica possibilità per il centrodestra di esistere sarebbe di sposare la causa della neo-Lega Matteo Salvini che, abbandonata l’ampolla del dio Po, ha scelto la strada del lepenismo, della battaglia anti-euro, del no all’immigrazione soprattutto se islamica, ecc. Il moderatismo di Forza Italia, legato alle logiche filo tedesche del partito popolare europeo, è sembrato che dovesse lasciare il passo all’impeto giovanile del salvinismo. Si è parlato per tutta l’estate, ricorderete , del centrodestra a trazione leghista, di turbo-Lega, ecc.

In realtà ora lo scenario non è più quello di una facile successione al trono per una destra populista d’attacco che non sembra avere ancora i voti per primeggiare. Ora Berlusconi è tornato in campo, e questo anche a prescindere dalla attesa sentenza del tribunale di Strasburgo sulla sua esclusione (legge Severino) dalle liste elettorali. Il Cavaliere ha deciso che sarà lui a guidare un centrodestra non lepenista alle prossime elezioni e che sarà sempre lui a trattare con Matteo Renzi sulla nuova legge elettorale e la tempistica del ricorso alle urne. Sono così scartate tutte le richieste di «primarie» per la scelta del leader avanzate da Salvini, da Giorgia Meloni e, con rispetto, da quegli azzurri come Giovanni Toti più affezionati allo schema filo-leghista. Tanto più considerando che la proposta berlusconiana di legge elettorale si impernia sul sistema proporzionale. Nel frattempo, Berlusconi ha imposto ai suoi gruppi parlamentari un atteggiamento non pregiudizialmente ostile al governo Gentiloni che peraltro si è molto esposto nel difendere il carattere strategico del gruppo Mediaset sotto assedio da parte dei concorrenti di Vivendi.

Molti hanno notato che domenica scorsa l’annuncio del rinnovato protagonismo di Berlusconi è arrivato in contemporanea con il ritorno in campo di Matteo Renzi, uscito dalla pausa impostagli dalla batosta referendaria. Insieme, con due distinte interviste, Matteo e Silvio hanno come rioccupato le due metà del campo volutamente ignorando il terzo incomodo, quel movimento grillino che secondo Renzi «è solo un algoritmo».

Se Salvini sospetta che dietro questo sincronismo ci sia una manovra di riavvicinamento ha tutte le ragioni per farlo. E come lui sospettano e protestano, per opposte ragioni, quelli della sinistra del Partito democratico. Ma nonostante tutti loro, Renzi e Berlusconi stanno provando ad accordarsi sulla legge elettorale, su quando andare a votare e persino su qualche prospettiva della nuova legislatura. Se l’accordo fosse raggiunto, sarebbe politicamente molto forte anche con le contestazioni che subirebbe nei due rispettivi schieramenti. Il rischio però che Renzi e Berlusconi corrono è quello di regalare un formidabile argomento polemico ai grillini («l’accordo della Casta!») utilissimo per far dimenticare le peripezie del movimento pentastellato a Roma e in Europa.

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