Berlusconi e la classica
mossa del cavallo

Si fa un gran parlare in questi giorni delle manovre di Silvio Berlusconi per riconquistare l’unità del centrodestra in vista delle prossime elezioni. Si sta muovendo, Berlusconi, dopo le ultime elezioni amministrative che, dopo anni di crisi, hanno riproposto un centrodestra competitivo, anzi spesso vincente, e una Forza Italia ancora vitale. Le elezioni tuttavia non hanno cancellato le differenze tra il partito di Berlusconi, europeista e parte del Ppe a trazione tedesca, e una Lega anti Ue e sovranista anche se ora meno legata al carro lepenista in difficoltà).

E nemmeno hanno cancellato i problemi di successione alla guida della coalizione che comunque Matteo Salvini e Giorgia Meloni continuano a porre nonostante che in pubblico Berlusconi li snobbi e faccia loro il pat pat del padre padrone alle prese con figlioli frettolosi di ricevere l’eredità. In questo contesto, rinfrancato dai voti e dai sondaggi che lo preferiscono a Salvini come leader e candidato premier, il vecchio leone sta facendo la più classica mossa del cavallo: indicare un suo possibile successore, magari proveniente dalla «società civile», capace col suo solo nome di azzerare la schiera dei candidati interni. Adesso è arrivato il momento di indicare, come possibile candidato premier del centrodestra, nientedimeno che Sergio Marchionne, il più prestigioso manager italiano nel mondo. Come c’era da aspettarsi, la «soffiata» ai giornali di una simile ipotesi ha fatto infuriare un mucchio di gente: a cominciare da Salvini e Meloni, che hanno subito protestato, per finire con tutti i capi di Forza Italia comprensibilmente ostili ad un papa straniero che tronchi le loro ambizioni.

Parliamo di Giovanni Toti, per fare un esempio, uno che ha ottimi rapporti con Salvini e che, insieme alla Lega, ha strappato alla sinistra la Regione Liguria e addirittura Genova. Ma anche Renato Brunetta, volendo, ha i suoi sogni, e chissà quanti altri. «Marchionne? Accettiamo contributi da chiunque abbia delle idee» è stata l’acida reazione di capi e capetti azzurri all’ultima uscita del Cavaliere, le stesse parole riservate a Stefano Parisi, «delfino» infiocinato prima ancora che prendesse il mare, ultimo di una lunga serie che risale a Casini, Fini, Folli, Fitto, Alfano e che potrebbe allungarsi chissà quanto. Dopo Marchionne (delle cui intenzioni nulla sappiamo anche se molto dubitiamo) magari toccherà a Mario Draghi o, come sussurra qualcuno, anche a Emma Marcegaglia, l’attuale presidente dell’Eni.

Mossa del cavallo, dicevamo. La realtà è che Berlusconi, come leader del centrodestra e candidato premier, pensa solo a se stesso, e per questo spera ardentemente che la Corte europea di Giustizia gli consenta di ricandidarsi alle prossime elezioni italiane. Nel frattempo, Forza Italia si è rafforzata e ricomincia ad attrarre i tanti che negli anni della traversata nel deserto sono saliti su altri più sicuri carriaggi. Dal gruppo di Verdini stanno infatti arrivando diversi parlamentari, forse addirittura sette, e non si escludono rientri da altri gruppi, del tipo - per intenderci - di Renato Schifani che in tempi non sospetti lasciò il gruppo di Angelino Alfano per rientrare nella casa madre. Berlusconi - lui, lui proprio - è tornato al crocevia di qualunque accordo politico nell’attuale come nella prossima legislatura, e questo è un potentissimo fattore di attrazione per tanti: anche Salvini prima o poi ne dovrà prende atto.

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