Boccia, voto, governabilità
Industriali ed élite di fronte al populismo

Non sorprende il tono un po’ distratto, quasi snob, di Sergio Marchionne quando, commentando le elezioni, dice che «abbiamo visto di peggio». In fondo, è un imprenditore più Usa che italiano e da uno come Trump, che potrebbe motivare l’allusione al peggio, ha già incassato, in realtà, un taglio di tasse niente male. Stupisce di più che un uomo colto e prudente come Vincenzo Boccia abbia rilasciato una patente democratica, neppure richiesta e di per sé superflua, ai 5Stelle. Confindustria rappresenta politicamente le imprese,è equidistante e non militante. Perché dunque questo correre in soccorso del presunto vincitore?

Forse voleva solo dire che l’esito del voto è democratico, ed è vero, perchè la scadente legge elettorale ha fotografato la realtà, senza forzarla per favorire la pur necessaria governabilità. Quanto a procedure democratiche interne, in verità, è più complicato diventare membro di Giunta della Confindustria che parlamentare grillino, perché all’Eur gli ultimi presidenti sono stati eletti con minimi scarti, dopo confronti interni serrati. Tutt’altro che pochi clic sul web.

Ma forse è anche riduttivo spiegare certe aperture solo come salto sul carro del vincitore, nonostante l’avallo di uno che se ne intende come Montezemolo, che naviga da decenni in un mondo elitario: la Famiglia di Torino, le Banche e l’industria, che tanto spesso hanno mandato avanti lui per evitare di esporsi. Sembra più probabile, e persino più negativo, che il distacco con cui parte della classe dirigente prende solo atto dei risultati, sia dovuto proprio a questa voglia di defilarsi per non impegnarsi: un sintomo di crisi di leadership molto preoccupante. Il vuoto, in un sistema sociale, viene sempre riempito, e non ci si può sorprendere, allora, della torsione populista della politica. Parliamo di classi sociali e ceti dirigenti economici ma anche culturali che hanno sempre praticato poco la politica, salvo eccezioni: ultima quella di Bombassei, per fare un nome. Di orientamento moderato, hanno sempre applaudito Berlusconi alle Assemblee quando parlava da «collega», ma poi hanno visto uno oggi di LeU, come Bersani, fare le più grandi liberalizzazioni della storia repubblicana, oppure la sinistra di Renzi cancellare l’art. 18, Prodi diventare il primo demolitore del cuneo fiscale. Restandone sorpresi e disorientati, perché privi di chiavi interpretative aggiornate.

La politica ha colpe pesanti, che ora almeno paga elettoralmente, ma anche una parte di quella classe dirigente ha fatto disastri, quando ha privatizzato col braccino corto, senza visione, o ha mescolato debiti e crediti nelle Banche, fino agli inarrivabili abissi veneti.Sarà per questo che è indulgente verso i nuovi bipolarismi senza maggioranze possibili? Ed evita di denunciare – come in una canzone di Sanremo – che il «nuovo che avanza» prospetta solo «una vita in vacanza», esattamente l’opposto delle necessità di un grande Paese industriale? Non c’è nessuna possibilità di conciliare l’assistenza con gli investimenti, i dazi con le esportazioni, i sussidi con i tagli fiscali, l’abolizione della Fornero con i soldi per il 4.0. Anche il debito non basterà più. Chi ha ruoli importanti non può limitarsi a prendere atto, o dare patenti, deve fare la propria parte, ad esempio su un tema fondamentale come l’Europa. La legittima e spiegabile frattura tra emarginati ed élite scuote il mondo intero, ma se la classe dirigente francese non avesse trovato in se stessa un Macron, avremmo oggi in Europa un problema in più. Se queste cose non le fa proprie chi le vive tutti i giorni sui mercati aperti del mondo, per parafrasare Marchionne, continueremo a vederne di peggio.

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