La famiglia
non è una tantum

Da trent’anni ascoltiamo il ritornello che il nostro Paese ha bisogno di fare cassa e di rilanciare la crescita, anche delle famiglie. Alla distanza, a forza di dirlo, qualche risultato avremmo dovuto vederlo. La realtà invece ci restituisce una situazione al contrario. Invecchiamo, figli pochini, l’accesso dei giovani al mondo del lavoro è una corsa a ostacoli, la difficoltà di conciliazione famiglia-lavoro mette in crisi le donne che desiderano avere figli e vorrebbero continuare a lavorare per contribuire a mantenerli. In questo quadro cupo servirebbe una riforma strutturale per ridare fiato alle famiglie, vero motore della società. Il colmo è che tutti concordano su questa linea, ma solo a parole. L’ultimo esempio di palese contraddizione tra il dire e il fare è la manovra di bilancio, licenziata dal governo e tuttora in fase di approvazione da parte del Parlamento, che - al momento - ha cancellato il bonus bebè.

A poco più di quindici giorni dalla Conferenza nazionale della famiglia tenutasi in Campidoglio, con la partecipazione del governo Gentiloni e durante la quale il ministro Padoan aveva annunciato un aumento dei fondi per le famiglie, ecco sparire le risorse per la natalità che, in teoria, dovevano esserci in automatico fino ad esaurimento del bonus nel 2020. Forse non si sarebbe arrivati fin là nel tempo con i soldi a disposizione, sicuramente però sarebbe stato coperto il 2018, visto che nel 2015 sono stati spesi 42 milioni in meno e, con tutta probabilità, lo stesso risparmio potrebbe essersi ripetuto per il 2016 e il 2017. Il problema è che stiamo parlando di teoria, perché in pratica quei risparmi il governo li ha spesi per altri capitoli di bilancio. In sostanza, lo Stato ha dato, poi ha tolto ma nel frattempo si è pure mangiato i risparmi di famiglia. Una dimostrazione di incoerenza, e pure poco giustificabile con le ristrettezze di bilancio perché mentre alle famiglie si toglievano gli spiccioli, alla difesa militare si incrementavano i fondi. E non per la sicurezza interna che sarebbe anche comprensibile, visti i rischi di attacchi terroristici, ma per nuovi armamenti e missioni militari all’estero. Dunque il sentiero della manovra è stretto per la famiglia ma diventa più percorribile su altri fronti. Il punto è che il Paese sta imboccando una strada impervia e piena di insidie, perché non aiutare la famiglia significa alimentare il distacco che c’è tra vecchie e nuove generazioni minando le fondamenta dello Stato stesso. Presto i giovani non riusciranno più ad assistere gli anziani che, di conseguenza, finiranno in carico ai servizi sociali facendo lievitare la spesa pubblica. I numeri di questo fenomeno in atto aiutano a capire e fanno pure paura: nel 1950 in Italia gli over 80 erano 500mila, oggi sono 4 milioni e nel 2050 saranno più che raddoppiati. La politica si dice che dovrebbe essere lungimirante ma finora si è dimostrata miope sul tema della famiglia e nell’arco dei prossimi vent’anni la prospettiva, se non si cambia registro, sarà anche peggio: in Italia le proiezioni demografiche dicono che avremo 1,4 milioni in meno di under 25 e contemporaneamente 4,2 milioni in meno di adulti in età lavorativa fra i 24 e i 54 anni. Cosa significa questo? Una fragilità per l’intero sistema da allarme rosso. Anche l’aumento dell’età pensionabile, il cui dibattito è in corso proprio in questi giorni, rischia di pesare in modo ulteriormente negativo. Chi garantirà le pensioni ai sempre più numerosi anziani se diminuiranno i giovani lavoratori?

Ora non sarà di certo il ripristino del bonus bebè a invertire la rotta di questo fenomeno sociale, economico, e pure culturale, ma la sua cancellazione (che comunque esclude 5.000 bergamaschi) è senz’altro un segnale negativo di come la nostra classe dirigente (destra, sinistra o pentastellata che sia) non abbia compreso la gravità del problema e l’urgenza di un nuovo modello di gestione politica del Paese. Un modello che non può continuare sulle promesse elettorali e nemmeno sulle erogazioni «Una tantum». I provvedimenti spot non sono più credibili e soprattutto si sono dimostrati palliativi per un malato grave che invece ha bisogno di cure serie. Finora si è assistito a una distribuzione a pioggia sotto la «voce famiglia» ma in realtà erano fondi per salute, povertà, asili, disabilità. E la conferma che questi stanziamenti non bastano così come vengono concepiti, arriverà fresca fresca questa mattina alla Camera dei deputati dove verrà presentato uno studio dal quale emerge che il 36% delle famiglie di ceto medio rinuncia ad almeno una prestazione sanitaria a causa delle difficoltà economiche, quota che sale al 65,5% nelle famiglie più svantaggiate. Gli spot non portano a nulla e la famiglia non può più essere considerata «Una tantum». A parità di salario, il carico in un nucleo con figli è diverso da chi non li ha. E il fisco dovrebbe tenerne conto. O si riparte da qui o la famiglia per come l’abbiamo conosciuta finora andrà in estinzione. Eppure basterebbe guardarsi attorno. In Europa c’è chi da decenni è riuscito a invertire la rotta puntando proprio sulla famiglia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA