Bossetti al funerale
Giustizia e umanità

Un colpo di vento. Per un attimo sembrava di non essere a Bergamo asfissiata dallo smog ma sul pizzo Coca. È il potere di una notizia come questa: «Per decisione della corte d’Assise, Massimo Bossetti potrà partecipare al funerale di suo papà». Aria pura, disposizione saggia. Soprattutto un’inversione di tendenza rispetto alle rigidità di alcuni tribunali, che in passato avevano scambiato il permesso all’ultimo saluto per una dimostrazione di forza.

In questi casi un no ha sempre come colonna sonora un tintinnio di manette con annessa vessazione. Come a voler dimostrare con un malinteso senso della potenza che lo Stato non deflette, non scende a patti con nessuno, neppure con la morte. E invece il sì alla richiesta di Massimo Bossetti rende trasparente e palpabile qualcosa che in realtà dovrebbe sempre associarsi alla Giustizia, l’Umanità. È giusto che Bossetti accompagni suo papà Giovanni nell’ultimo viaggio terreno. Sia per ciò che simboleggia un momento così triste ed estremo all’interno di una famiglia, sia perché quell’uomo dietro il feretro per qualche mezz’ora non sarà l’imputato nel processo per l’assassinio di Yara, ma un figlio che ha perso il padre. Sarà il Massimo che papà Giovanni ha tenuto sulle ginocchia, ha fatto giocare, ha condotto per mano sulla strada della vita, ha visto uscire di casa per costruire una famiglia. Quel ragazzo con cui ha parlato nei momenti del dubbio e dell’angoscia. E al quale probabilmente ha provato a porre anche solo guardandolo negli occhi- nel privato di un colloquio mentre già il male gli stava prosciugando le forze - la domanda delle domande: sei stato tu?

Ecco perché va dato atto alla corte d’Assise di Bergamo di aver preso una decisione difficile e saggia, crediamo anche popolare, nel segno di un’umanità che non indebolisce, anzi rinforza il senso di Giustizia di un territorio. Non era facile. La casistica del passato lontano e recente ci riporta vicende ruvide e contestate, fonti di polemiche perfino politiche. Quel no alla partecipazione di Paolo Pillitteri ai funerali del cognato Bettino Craxi ad Hammamet e il diniego più recente all’ex governatore della regione Sicilia Totò Cuffaro di assistere alla cerimonia funebre del padre Raffaele rimangono come punti interrogativi che somigliano a macchie. A differenza di Bossetti, entrambi condannati, è vero. Ma entrambi puniti oltre misura con un divieto che rispettò i codici, meno il buon senso. Lasciando che la pietà avesse il sopravvento sulla routine decisionale, il giudice di Bergamo ha fatto la sua parte.

Adesso tocca a noi. E il «noi» racchiude in sé un doppio ruolo, quello di cittadini e quello di giornalisti. Purtroppo, per esperienza sappiamo cosa significa la presenza di Massimo Bossetti a Terno d’Isola che cammina dietro il feretro. Significa sostanzialmente due piccole sciagure: la presenza in massa di reporter, fotografi e telecamere alla ricerca di un’immagine, di una sequenza, di una parola che possa essere spunto per una riflessione più o meno attenta, più o meno ispirata. E significa anche l’occhiuta e per nulla accidentale affluenza di un buon numero di curiosi, affetti da una delle più assurde malattie della nostra società, il presenzialismo. Giovanni Bossetti, uomo buono trovatosi involontariamente al centro di un dramma più grande di lui (e di tutti), conclude il suo viaggio sulla terra. Merita il nostro silenzio e il nostro rispetto. Evitiamo il solito e molesto rumore di fondo. Lasciamo che nell’aria fredda dell’ultimo martedì dell’anno quel padre e quel figlio possano parlarsi senza essere disturbati.

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