Casa, la sicurezza
non diventi tassa

In principio c’era l’Ici, poi arrivò l’Imu e la Tasi, adesso c’è l’evoluzione: la Iuc, che è un mix di Imu e Tasi. Tante sigle con un unico elemento comune: la gabella sulla casa. Il bene più privato e personale è sottoposto a spremitura fiscale. Dopo la tassa sulla proprietà, ora sembra profilarsi all’orizzonte anche quella sulla sicurezza. E così, dopo la Iuc, ecco la Sicu. Fortunatamente quest’ultima è solo un nostro gioco di fantasia, ma quanto sta accadendo a Ponteranica, e presto in altri paesi come Sarnico, potrebbe diventare realtà: una tassa privata sulla sicurezza della casa.

Perché di questo, alla fine, si tratta: di una tassa. Possiamo chiamarlo servizio privato. Aggiungerci che i cittadini non sono obbligati ad aderire. Che il Comune ha fatto solo da mediatore per strappare una tariffa migliore, ma la conclusione non cambia: la difesa della nostra proprietà richiede un pagamento e non è più di competenza pubblica. Anche se è prevista dalla legge italiana (decisamente datata: Regio Decreto del 1931) perché il furto è ancora un reato. Pure quello in casa. E il fenomeno, seppur registri un minimo calo (quantomeno nelle denunce ai carabinieri), è ancora di larga scala sul nostro territorio. La media è di 13 furti in abitazione al giorno.

Nel 2014 i colpi denunciati all’Arma in Bergamasca sono stati 6.339. «Una piaga», come ha recentemente detto il comandante provinciale Antonio Bandiera, che si è anche premurato di sottolineare «l’impegno costante dell’Arma a non abbassare mai la guardia». Un’affermazione che non mettiamo in dubbio. Al contrario, proprio da queste colonne, abbiamo denunciato più volte la carenza di organico nelle forze dell’ordine in servizio nella nostra provincia rispetto a più parametri: il numero di residenti, il dilagare dei furti e il gettito fiscale che viene prelevato dalle nostre tasche. Ma a Roma fanno orecchie da mercanti e anche il questore Girolamo Fabiano ha detto: «Noi facciamo la nostra parte, svolgiamo il nostro lavoro al meglio con le forze che abbiamo».

Le forze non sono più sufficienti, quindi conviene giocarsi una carta in più. La privatizzazione della sicurezza, non intesa come quella che fa fronte alla grande criminalità ma alla micro (che tra l’altro, a differenza dell’altra, è «macropercepita» dalla società), non va giudicata negativamente a priori. Il problema è che in Italia le soluzioni ai problemi nascono spesso dall’esigenza di tamponare una falla, un’emergenza, anziché da uno studio approfondito di un fenomeno con la conseguente costruzione di un percorso strutturato non solo per quanto riguarda gli uomini da mettere in campo ma anche le tecnologie da utilizzare. Da noi c’è un tasso d’improvvisazione altissimo. Avete mai chiesto a un tecnico della sicurezza il preventivo per un allarme da installare in casa? Una giungla. E tutti ti garantiscono che il loro è più aggiornato rispetto alle nuove tecniche di scasso. Sarà senz’altro vero ma non c’è uniformità su un tema fondamentale per la vivibilità delle nostre comunità, dal piccolo paese fino alla città.

Fuori dall’Italia ci sono esempi a cui guardare: gli Stati Uniti sono stati i primi, ma anche in Europa ci sono Paesi come Belgio e Inghilterra dove la macchina della sicurezza privata è stata normata a tutela del cittadino. Da noi, invece, tocca come sempre ai sindaci sperimentare. È un copione già visto in altri settori della pubblica amministrazione. Ma la buona volontà dei nostri primi cittadini espone il fianco alle contestazioni e alla confusione. Così, anche se l’intento è positivo, rischia di apparire agli occhi del cittadino come l’ennesima fregatura. Una tassa, appunto.

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