Ci hanno donato Dio
dobbiamo loro
riconoscenza

Oltre che importante, è bello che la festa di «tutti i Santi» si stringa stretta stretta a quella dei morti, senza che quasi ci siano confini. Questo passaggio - che ci chiede di guardare, ringraziare e pregare tutte quelle sante persone che abbiamo messo nelle chiese, nelle nicchie, nei dipinti, nei reliquiari, sugli altari - dovrebbe davvero metterci gioia e speranza nel cuore. Ma, ancora di più, dovrebbe far lievitare un profondo senso di riconoscenza verso di loro, donne e uomini che ci hanno regalato vita e bellezza, e che in questo regalo hanno avvolto Dio. Sante persone che hanno compiuto miracoli nella vita di tanti, segni di Dio che abbiamo potuto vedere e riconoscere. Penso a chi è stato capace di sorridere sempre, di una speranza che non muore mai, di quella cura straordinaria con chi è malato, di chi ha fatto crescere generazioni di bambini tenendoli con sé tutti quanti, come figli. Penso a chi è stato capace di parole buone sempre, e a chi ha sempre scelto di stare dalla parte del bene anche dentro ad un male grande.

Penso alle mamme e ai papà che danno la vita ogni giorno per i loro figli e a tutti quelli che in mille modi sono stati capaci del dono della vita...

Quanti esempi dovremmo fare. Ciascuno ne avrebbe davvero tanti. Tantissimi santi di una santità anonima, la santità che si mescola ai giorni e alle stagioni, nei giorni e nelle notti di ciascuno. Gente comune, gente vestita normalmente, gente che vive in case uguali a tante, impegnata in lavori comuni, in situazioni a volte belle e a volte complicate, gente del nostro paese o della nostra città.

Ecco, oggi è anzitutto festa di riconoscenza. Tanta riconoscenza per tutto quello che da sempre è accadere di Dio nel tempo e nella storia attraverso le persone che sono con noi, che Dio mette sul nostro cammino. Bisogna riconoscere per essere riconoscenti, per avere una vita piena di gratitudine. Lo ripeto spesso, perché ne sento il bisogno, perché mi accorgo che il peccato della lamentazione è sempre lì pronto a saltar fuori. Mi accorgo di come siamo bravi a vedere quanto le persone sono brutte, cattive, non ci vanno bene, e non riconosciamo più la brava gente che ci passa accanto e fa del bene a noi e agli altri. Mi accorgo che il male che abbiamo addosso ci porta via tutto il bene che ci passa accanto e quello che potrebbe nascere domani, se lo permettiamo.

Ci penso alla santità. Penso ai grandi santi e alle loro storie che noi abbiamo reso così esemplari e spirituali da farle essere innocue e irraggiungibili tanto da permetterci di non sentirci coinvolti, invitati. Provo a mettermi dentro alle loro giornate, alle fatiche e alle lacrime, ai tentativi falliti e alle grandi conquiste raggiunte mettendo un pezzettino dopo l’altro, senza fermarsi mai, con pazienza, un giorno alla volta, senza magari vedere bene come sarebbe andata a finire. Penso a quei santi di tutti i giorni che hanno fatto e stanno facendo la stessa cosa.

Mi accorgo pensando a me che a volte mi perdo alla ricerca dello straordinario. Ci piace e ci affascina essere straordinari. Sono convinto che dobbiamo aspirare ad essere straordinari non dimenticando però che la santità non sta nella straordinarietà della vita e forse nemmeno nella straordinarietà dei miracoli.

Mi tornano alla mente le parole del Vangelo, dove alcuni dicono a Gesù : «Non abbiamo forse fatto miracoli nel tuo nome?», mentre altri gli dicono di aver predicato nel suo nome. E penso alla sua risposta: «Via da me voi operatori di iniquità».

La santità non sta nella straordinarietà che celebra me stesso, che seduce verso le mie opere, i miei desideri. Abbiamo bisogno di ritornare alle beatitudini per ridirci i confini della santità … Tutte si portano dentro bellezza e assieme concretezza del vivere, non sono belle paroline o visioni evanescenti.

Le sento come parole e indicazioni di passione per la vita. Sento che sono per me, che sono per tutti. A volte mi sembra di ascoltare le beatitudini, di vederle dal vivo, dalle immagini che mi rimanda la vita. Le beatitudini ci parlano di ciò che da cuore e anima sa diventare gesti, modo di stare con gli altri, di incontrarli, di vivere con loro non da padroni. Gesù chiama beato chi sta in mezzo agli altri desiderando di essere utile a qualcuno, di servire la vita degli altri, diverso da chi invece si serve, sfrutta, si approfitta della vita e degli altri.

Beati sono quelli che piangono ma non disperano, e cioè non smettono di essere uomini di speranza, e coloro che scelgono di accogliere con il bene invece che ripagare con il male ricevuto.

Coloro che credono che solo amare cambia il cuore delle persone e la storia, coloro che fanno propria la giustizia più grande che non è quella del «chi sbaglia paga», ma del «a chi sbaglia dono un’altra possibilità». Beati sono coloro che non smettono di credere nella giustizia e nella pace anche quando subiscono ingiustizie e hanno chi gli mette il bastone tra le ruote. La ricompensa è quella santità di chi sperimenta il cielo dentro di sé. La più grande ricompensa. Il grande desiderio di tutti, ciò che alimenta il fuoco della vita, senza permettergli di spegnersi mai.

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