Consumatori:
lotta ai cartelli

Si realizza un «cartello» quando alcune imprese pongono in essere alleanze e accordi con altre imprese concorrenti per fissare o alzare i prezzi o per dividersi il mercato. Ne conseguono posizioni dominanti di monopolio o oligopolio che, distorcendo il corretto funzionamento del mercato, producono effetti particolarmente dannosi per imprese e consumatori.

Per molte imprese, l’impossibilità di operare in un mercato realmente concorrenziale determina insufficienti risultati di bilancio, che rendono difficile la realizzazione delle innovazioni tecnologiche indispensabili per migliorare la qualità della produzione e contrastare la concorrenza. Conseguenze non meno pesanti derivano per i consumatori, che sono obbligati, per le pesanti limitazioni alla concorrenza, a pagare di più per prodotti sempre più scadenti.

La lettera enciclica «Laudato Si’» di Papa Francesco mette in grande evidenza tutti i mali che derivano all’economia e di conseguenza all’intera collettività quando comportamenti speculativi impediscono il corretto funzionamento del mercato. L’Unione europea, fin dagli inizi, si è concretamente battuta per il rispetto delle regole del mercato, sollecitando ogni Paese aderente a creare le condizioni per una sana concorrenza. Le multe applicate contro i cartelli e le tante deformazioni del mercato hanno assunto, negli ultimi anni, connotati di grande rilievo. Nel 2014 sono state erogate dalla Commissione europea multe per circa 2 miliardi di euro, a testimonianza di comportamenti illegali assai diffusi.

Le principali irregolarità sono state riscontrate nel settore finanziario. In particolare, JP Morgan, Ubs e il Credit Suisse sono stati multati per 120 milioni di euro, per aver creato illecitamente un cartello allo scopo di manipolare il tasso di interesse del franco svizzero.

Per quanto riguarda l’Italia, i dati riferiti al 2014 ci dicono che l’autorità Garante della concorrenza e del mercato ha avviato 116 indagini per manipolazioni. Di queste, solo 86 si sono concluse con sanzioni per 9,3 milioni di euro. Troppo poco, in un Paese in cui le pratiche corruttive sono assai diffuse. Non può sottovalutarsi, però, che alcuni importanti settori del sistema economico italiano si sono affacciati molto tardi al mercato e solo grazie all’autorevole spinta dell’Europa. Gran parte del settore delle grandi imprese è stato a lungo sotto il controllo pubblico e, in larga misura, lo è tutt’ora.

Fino ai primi anni Novanta quasi tutto il settore bancario era in mano pubblica e solo nell’ottobre 1990 è stata costituita l’Autorità antitrust con la legge 287 dal titolo: «Norme per la tutela della concorrenza e del mercato». Per comprendere meglio la nostra situazione, va ricordato che un provvedimento dello stesso tipo, ma ben più severo, è stato emanato negli Usa già nel 1890. Si tratta dello Sherman Act che prevede, nel caso di pratiche di turbativa del mercato, pesantissime sanzioni pecuniarie e, per i comportamenti più gravi, anche lunghi periodi di detenzione.

La perdurante assenza nel nostro Paese di interventi specifici a tutela del mercato non ha consentito, peraltro, di far crescere nei singoli cittadini e nelle associazioni dei consumatori la consapevolezza dei danni provocati da ogni pratica distorsiva. Questa consapevolezza ha iniziato a diffondersi, negli ultimi anni, per i danni provocati da alcuni grandi scandali messi a nudo da provvidenziali interventi della magistratura (Mose, Expo...). La nomina di Raffaele Cantone come Commissario anticorruzione ha reso possibile accertare, ad esempio, quanto fossero alterate le regole del mercato nel settore degli appalti pubblici, ove si spende più del 15 per cento del Pil. Come evidenziato nella sua recente relazione annuale, l’azione della Commissione si è da subito diretta, non a caso, a contrastare la pervasiva presenza negli appalti pubblici di cartelli che vanno a braccetto con la corruzione.

Molto spesso, infatti, la costituzione di tali cartelli è agevolata dalla presenza di intrecci di interesse tra politici, funzionari corrotti e esponenti di organizzazioni mafiose. Ciò è avvenuto anche nei recenti fatti di Roma Capitale che ha coinvolto il mondo delle cooperative. Queste situazioni rendono gli appalti sempre più costosi per il committente pubblico e sempre più profittevoli per gli assegnatari, grazie alla distorsione dei capitolati a loro favore, a scapito di quanto fornito ai cittadini.

La presenza di questi fenomeni - che saranno indubbiamente contrastati dalla recente riforma degli appalti approvata dal Senato -ostacolando la concorrenza, provoca enormi danni alle Pmi. Questa circostanza è stata dettagliatamente rilevata dall’Ance in relazione agli scandali che hanno riguardato l’Expo. Secondo dati forniti dalla Commissione europea, si calcola che in Europa, quanto a valore aggiudicato, le Pmi detengono il 30% degli appalti pubblici, mentre la loro partecipazione nel totale dell’economia si aggira intorno al 52%.

Negli Usa, in nome della concorrenza, si è riservato oltre un quarto degli appalti pubblici alla Pmi con un intervento legislativo. Altrettanto dovrebbe essere fatto soprattutto nel nostro Paese, ove si avrebbe anche l’opportunità, con tali interventi, di porre un deciso freno alla forza espansiva nell’economia di tante organizzazioni malavitose

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