Conta chi c’era
anche senza cera

Cosa c’era o cera? Basta un apostrofo, un piccolo segno irrilevante, e cambia tutto un senso. Qualcuno può dire con curioso punto interrogativo: «cosa c’era?» davanti alla gente pacatamente in lunga fila fuori e dentro il Duomo ininterrottamente da ieri o vedendo migliaia di persone riversarsi nelle vie di Bergamo accompagnate da un insolito continuo scampanio a festa. Qualcun altro lo può pronunciare con un punto esclamativo e con sfumature più orobiche, per esprimere meraviglia, stupore, emozione: «cosa c’era!!!».

Se si toglie il nulla di un apostrofo, tutto diventa cera. Cera, come quella delle mani di Papa Giovanni che hanno movimentato le cronache. Il corpo del Santo ha attraversato la sua Bergamo lentissimamente quasi a permettere che si realizzasse per ciascuno quella sua frase: «ho messo i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il mio cuore accanto al vostro cuore». L’aveva detta al carcere romano di Regina Coeli e l’ha rivissuta ieri in modo tutto speciale nel carcere di via Gleno. Nel tragitto tantissimi hanno voluto vederlo, ma io penso soprattutto che hanno voluto farsi vedere da lui, farsi raggiungere dal suo sorriso. In questo lento passaggio, la cera che copre le mani del Papa si è un po’ sciolta.Tra l’altro questo problema si era già presentato nel 2000 quando fu esposto in piazza San Pietro per la Beatificazione.

Ma era nascosto essendo sotto l’altare in vaticano nella parte verso il muro. Nella preparazione della nuova urna si è un po’ sistemato, pensando che prima o poi bisognava rifarle. Ieri si sono rovinate e quindi al suo ritorno a Roma la diocesi si accorderà con la Santa Sede per la sostituzione. Tant’è che la maschera del volto invece non ha avuto alcuna ripercussione… ed era nella stessa teca, sotto lo stesso caldo. Il Vescovo, al termine dell’accoglienza in Cattedrale, lo ha detto serenamente pubblicamente aggiungendo «non so se fosse più forte il caldo del sole o quello dei bergamaschi». Di fronte all’eco strabiliante che questo ha avuto, a me sono sgorgate tre riflessioni. Innanzitutto Papa Giovanni XXIII è stato un grande comunicatore: in un mondo in cui solo pochi avevano la televisione e solo in bianco e nero, non c’erano cellulari o social, lui è riuscito a far stampare indelebilmente nella mente di tutti, credenti e laici, in ogni angolo del mondo, il suo volto sorridente e il suo messaggio di pace. E rimane a distanza di anni anche dopo la sua morte. Finora la Peregrinatio, il suo ritorno a Bergamo, non aveva avuto alcuna notizia, tranne locale, adesso ne hanno parlato tutte le grandi testate nazionali: si è parlato di ciò che «c’era» di grande in lui, insieme al problema della «cera».

La seconda riflessione mi nasce dal pensare a quelle coincidenze strane che interpellano: di fronte al Papa Buono, ricordato da tutti per la sua carezza ai bambini e ai malati, i fari di colpo si sono puntati proprio sulla sua mano: «c’era» bisogno per tanti di una carezza sul cuore ed è arrivata grazie a quella «cera». Qualcuno parla di guaio, altri accusano, io preferisco lanciare la sfida di un senso che va oltre, che interpella: è la scommessa di quello che «c’era» sotto la «cera», cioè un frutto antico che diventa seme nuovo, accolto guardato atteso salutato festeggiato da fedeli e da laici, credenti e non credenti, sui cui volti non c’è vergogna a mostrare emozione o a lasciar scorrere lacrime di gioia e di dolore, tra nonni che raccontano una storia preziosa a incantati nipotini, in mezzo a selfie di giovani (e anche meno giovani) che cercano – seppur in modo digitale – di conservare un seme di pace per il loro futuro. Infine, come terza, una convinzione: quella di aver capito di più il senso del detto «si guarda al dito e non si vede la luna». E questa volta il dito è quello di Papa Giovanni XXIII, e in quanto alla luna... beh, nel far guardare la luna lui è ineguagliabile.

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