Contro la povertà
ripartire dalla fiducia

Sono drammatici i dati resi noti ieri dalla Caritas di Bergamo relativi alle persone aiutate nei primi 5 mesi del 2014: 619 persone, con una previsione di chiudere l’anno raddoppiando il numero degli assistiti rispetto al 2013. Insomma, una crescita della povertà del 100%. Cambiano anche i profili, perché aumentano gli italiani in rapporto agli stranieri, e aumentano le famiglie rispetto ai singoli. Sono sempre di più i padri che bussano alla porta per chiedere un aiuto: che siano padri italiani separati, o padri stranieri che si trovano senza lavoro e vogliono iniziare le pratiche di rimpatrio.

Il disagio sino a qualche anno fa riguardava persone marginalizzate dalla vita, oggi invece investe tante persone che definiremmo «normali». Ovviamente la domanda davanti a questi numeri è una sola: come fare a rispondere a questi bisogni? Le istituzioni caritative si trovano sempre più in difficoltà a reggere all’urto di una domanda drammaticamente crescente. È proprio per questo che 20 grandi organizzazioni di diversa matrice religiosa e culturale (tra cui la stessa Caritas) hanno deciso di unire gli sforzi costituendo un’Alleanza contro la Povertà in Italia. L’obiettivo è quello di fare pressione su Governo e Parlamento perché anche l’Italia si doti di un piano contro la povertà, come hanno fatto tutti i Paesi europei (Grecia e Italia esclusi ). Oggi secondo l’Istat sono oltre 6 milioni le persone in condizione di povertà «assoluta», che quindi si trovano a non poter contare su strumenti che le aiutino nell’emergenza, perché tutti i dispositivi immaginati dai precedenti governi, dal reddito minimo di inserimento di Prodi, sino alla social card di Berlusconi e Monti sono falliti.

L’Alleanza contro la Povertà lunedì scorso a Roma invece ha proposto una misura nuova, ribattezzata Reis - acronimo che sta per Reddito di inclusione sociale - e che per la prima volta prende come soggetto al centro dell’intervento, non più il singolo ma il nucleo familiare. In sostanza ogni famiglia riceverebbe mensilmente una somma pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia Istat per uscire dalla povertà assoluta. Nuova anche la modalità di gestione di questo sussidio, che verrebbe governato a livello locale con un impegno condiviso tra Comuni e associazioni di Terzo settore, cioè quelle organizzazioni che meglio conoscono le situazioni e hanno un rapporto diretto con i destinatari della misura di sostegno. Cosa c’è di diverso tra questa misura e quelle, tutte fallite, che l’hanno preceduta?

Innanzitutto il Reis non nasce come un’improvvisazione della politica. Nasce come proposta di chi tutti i giorni si trova ad affrontare la nuova povertà. Poi è diversa la filosofia: perché non si propone come misura tampone alle emergenze, ma ha come obiettivo quello di costruire percorsi che, nei limiti del possibile , permettano di uscire dalla condizione di marginalità.

Il principio guida è quello dell’inclusione sociale. È un principio più impegnativo che non la semplice prospettiva assistenzialistica. Perché guarda a chi è povero oggi come a una potenziale persona che torna nel giro attivo della vita. «Non posso aiutarti senza di te», recita uno slogan efficace, che cerca di spiegare come il primo passo sia sempre quello di restituire alla persona povera la voglia di combattere contro la propria condizione. La povertà di oggi non è causata solo dal venir meno di un reddito sufficiente a vivere dignitosamente, è causata prima ancora dal crollo di relazioni sociali che un tempo, in condizioni anche più dure di oggi, accompagnavano le persone nei momenti di difficoltà. Ripartire da lì, ristabilire una fiducia, è l’unica garanzia che ciò che si investe nel combattere la povertà serva davvero a superarla.

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