Così l’Isis perderà
la partita finale

Hollande parla di stato di guerra, Renzi dice che la battaglia sarà lunga e difficile, allarmi finora sempre falsi stanno diffondendo la paura in tutto l’Occidente, incidendo almeno provvisoriamente sulle nostre abitudini e infliggendo a tutti seri danni economici.

I tentativi di formare una «sacra alleanza» contro l’Isis che vada dall’America alla Russia incontrano molti ostacoli e la richiesta di aiuto della Francia ai suoi partner europei in base all’articolo 42 (mai invocato prima) del Trattato di Lisbona è stata accolta all’unanimità, ma avrà scarso seguito pratico.

A molti l’Isis comincia ad apparire come un avversario inafferrabile, formato da fanatici bene addestrati, pronti a tutto e ormai profondamente infiltrati nelle nostre società, che non riusciremo a debellare neppure sacrificando parte delle nostre libertà. Tuttavia, un esame più attento degli avvenimenti di questi giorni offre anche qualche motivo di ottimismo, nel senso che – proprio nel momento in cui ci appare più minaccioso - il Califfato sta rivelando evidenti carenze strutturali e organizzative, vulnerabilità a una azione più decisa delle nostre forze dell’ordine e una crescente debolezza sul terreno, accentuata dai bombardamenti che, per reazione agli attentati, stanno lanciando Francia, Russia e (sia pure con diverse motivazioni) America. E - altrettanto importante - gli eventi hanno messo spietatamente in luce i nostri errori e i nostri punti deboli, cui ora, anche sotto la spinta dell’opinione pubblica, i governi dovranno porre rimedio.

Sebbene abbia fatto 130 vittime, l’attacco a Parigi non è stato quel capolavoro organizzativo di cui si è parlato. I tre kamikaze che dovevano farsi saltare in aria allo Stade de France davanti a Hollande non sono nemmeno riusciti ad entrare e – forse per la frustrazione - hanno azionato le loro cinture fuori dall’impianto senza fare vittime. La seconda squadra, che aveva come bersaglio caffè e ristoranti, ha compiuto una leggerezza madornale, abbandonando un cellulare che ha permesso alla polizia di risalire al covo di St.Denis, dove la mente dell’operazione, il terrorista belga Abaooud che aveva già ideato altri cinque attentati sventati, ha potuto essere eliminato. Nonostante i bellicosi proclami che sembravano preludere ad attacchi concertati in vari Paesi, dopo Parigi in Europa non è successo più nulla. Se esistevano altre cellule, almeno per ora non sono state capaci di entrare in azione. L’attacco all’albergo di Bamako non è opera dell’Isis, ma di una organizzazione rivale.

Nel frattempo, tra Siria e Iraq il califfato è sempre più sulla difensiva. Attaccato dai curdi dal Nord, dalle milizie sciite dal Sud e da Assad e dai suoi alleati dall’Ovest, sta per la prima volta perdendo terreno, mentre giungono notizie che il flusso di combattenti stranieri è rallentato e che un certo numero di questi «volontari», disgustati dalle gratuite crudeltà, abbandona il campo.

Anche se né americani, né europei, né russi, andranno a mettere «gli scarponi sul terreno», è perciò probabile che nel prossimo futuro il Califfato perda il controllo di una parte del suo territorio, mentre i bombardamenti eliminano, progressivamente ma sembra implacabilmente, i suoi campi di addestramento e distruggono gli impianti petroliferi da cui gli jihadisti ricavano buona parte dei loro fondi.

Ma la cosa più importante è che sotto lo shock la comunità internazionale si è svegliata e sta mettendo a punto nuovi provvedimenti: rendere più difficile il passaggio di elementi jihadisti dall’Europa alla Siria e viceversa istituendo controlli più severi alle frontiere di Scenghen, procedere in modo più incisivo contro elementi sospetti, migliorare gli scambi di informazioni tra i servizi, rispondere alla guerra cibernetica perfino con l’ausilio di volontari civili come gli hacker di Anonymous, bloccare i finanziamenti occulti che consentono all’Isis di operare.

Pur con i limiti imposti dalle divisioni che ancora esistono tra i Paesi che i terroristi intendono colpire, il massacro di Parigi ha messo in moto un meccanismo virtuoso che, in un arco di tempo non infinito, dovrebbe essere in grado prima di contenere e poi di eliminare questa piaga.

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