D’Alema, Renzi e la sinistra scomparsa

Per comprendere il durissimo attacco che D’Alema ha scagliato contro Renzi, che avrebbe distrutto la sinistra, e il suo auspicio di un nuovo partito alla sinistra del Pd, è necessario concentrarsi sulla visione che D’Alema ha della medesima. Egli ha perfettamente ragione: Renzi si sta faticosamente congedando dalla sinistra di matrice togliattiana e berlingueriana, di cui il Massimo è lucido e impavido alfiere, insieme a Bersani e ai loro incerti seguaci.

Quali sono i teoremi di D’Alema? Il primo: l’idea che la sinistra e la destra abbiano un elettorato sostanzialmente stabile, ma ciascuna minoritario. Stabile, perché agganciato saldamente a classi e a ceti. Quanto alla sinistra: la classe operaia, i dipendenti pubblici, i pensionati e i loro sindacati. Il partito maggioritario, che Veltroni teorizzò e che Renzi sta cercando di praticare, richiamando nuovi settori sociali, è pertanto una bestemmia, è un inquinamento dell’hortus conclusus della sinistra, è un tradimento delle basi sociali della sinistra o, come dice Bersani, della ditta. Nessuno deve entrare nel mio giardino di casa. Nessun Verdini di passaggio. Il partito di D’Alema non potrà mai, né lo vuole, vincere le elezioni da solo.

E allora? Ecco il secondo teorema: le alleanze. Solo una coalizione di partiti può andare al governo e tentare di governare. Per D’Alema l’alleanza si fa con i cattolici democratici, cioè con i resti politicamente estenuati del «cattolicesimo democratico». È ciò che fece nel 1998, alleandosi con Mastella e Cossiga con i suoi «straccioni di Valmy» per sostituire Prodi, abbattuto da Bertinotti. E si fa con la sinistra radicale. «Mai nemici a sinistra!» è il dogma più longevo del vecchio Pci.

Terzo teorema: il sistema elettorale deve essere congegnato in modo tale da consentire la costruzione dell’architettura politica delle alleanze. A ciascun soggetto della coalizione si deve garantire un risultato decente. Perciò, più dosi di proporzionale ci sono e meglio é. No ai sistemi maggioritari troppo severi. L’Italicum deve premiare la coalizione, non il singolo partito. E occorre tenere bassa la soglia di entrata in Parlamento. Più partiti ci sono e meglio è.

Quarto teorema: quando si dice alleanze di partiti, si dice un patto tra segretari di partito. Il nocciolo del potere non è l’istituzione governo, ma i partiti, per i quali il Parlamento è solo una dépendance disciplinata. La retorica del primato del Parlamento nasconde quello reale dei partiti. Del resto, lo disse già Togliatti: «I partiti sono la democrazia che si organizza». Sono i partiti che scelgono il capo del governo, che pertanto non può essere anche segretario di partito. Sono i partiti a garantire il governo, non un capo di governo che pretenda persino di governare il proprio partito. Sono cariche incompatibili: o fai il segretario di partito o fai il presidente del Consiglio. Non puoi bere e fischiare contemporaneamente. Per la ragione che il capo del governo è solo il re travicello dei partiti.

Pertanto, il quinto dogma dalemiano è quello del primato del rappresentare sul governare, del legislativo sull’esecutivo. Un governo istituzionalmente forte è un pericolo autoritario. Sono i partiti il baricentro democratico.

Un osservatore non accecato dall’ideologia è tuttavia costretto a prendere atto che tutti e cinque i teoremi dalemiani sono stati falsificati dalla storia, prima ancora che arrivasse Renzi. Quanto al primo: c’è solo da leggersi le ricerche degli ultimi decenni sulla mobilità elettorale. Solo che, franato questo pilastro, tutti gli altri hanno ceduto. Come e dove stanno i partiti con cui fare alleanze? Non hanno più basi di classe omogenee. Il M5S è il prodotto, lo specchio e l’incarnazione di questa nuova condizione. Qualcuno sa dire in che cosa differisce la base sociale di Grillo da quella di Sel, da quella del Pd, da quella di Forza Italia? Il nesso deterministico tra base sociale e ideologia politica si è sciolto. Il vetero-togliattismo di D’Alema purtroppo no.5

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