Decreto fiscale
Accordo e limature

È stata una giornata di passione ma certo non sarà l’ultima: il governo è riuscito finalmente a trovare un compromesso tra grillini e leghisti sul decreto fiscale, ma solo dopo due giorni pieni di trattative, tensioni, assenze strategiche da parte dei leader, telefoni staccati, silenzi tattici e dichiarazioni ultimative alla stampa. In ogni caso, M5S e Lega volevano portare a casa ognuno il proprio trofeo elettorale, e questo – stando ai risultati della lunghissima riunione di Palazzo Chigi – è sicuramente stato ottenuto da entrambi. Ma a prezzo di non poche ambiguità. Qualche esempio.

Il più importante riguarda il provvedimento sulla cosiddetta «pace fiscale», uno dei più qualificanti, fortemente voluto dalla Lega ma osteggiato dai grillini che lo consideravano troppo simile ad un condono, e quindi svantaggioso politicamente per loro perché inviso all’elettorato pentastellato. Alla fine del tira-e-molla l’ha spuntata Salvini: la «pace» con lo Stato sarà assicurata a tutti coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi ma che potranno integrarla fino al 30 per cento in più (con tetto a 100 mila euro) pagando cui un’aliquota del 20% se avranno già avuto ragione in un secondo grado di contenzioso (50% al primo). Tutto naturalmente a rate.

In più, varie rottamazioni di vecchie cartelle di piccola entità (bollo auto, multe, ecc.). «Ma non diamo alcun segnale di comprensione agli evasori» dichiarano in pubblico i grillini i quali in privato ai giornalisti confidano perché si risappia: abbiamo annacquato la norma che voleva la Lega, e abbiamo messo talmente tanti paletti che nessuno la userà… E comunque il M5S ha preteso in cambio un inasprimento penale per i grandi evasori: «La galera a chi evade!» sarà lo slogan che Di Maio su Facebook ha immediatamente cominciato a pubblicizzare. Al pari, per intenderci, di un provvedimento che dovrebbe tagliare le liste d’attesa negli ospedali «per evitare che i medici si dedichino solo agli studi privati».

La Lega però può vantare che la famosa «quota cento» da introdurre per «smantellare pezzo a pezzo» la legge Fornero sulle pensioni partirà già da febbraio, e comunque è riuscita a frenare l’intenzione punitiva dei grillini sui cosiddetti pensionati «d’oro» (o tali ritenuti dal Movimento): le risorse da drenare a loro carico scendono a circa 300 milioni l’anno, ben più in basso di quanto Di Maio volesse, e in ogni caso la norma – lo ha detto il sottosegretario Giorgetti, braccio destro di Salvini – non sarà contenuta nel decreto fiscale, quindi non entrerà subito a regime, ma sarà consegnata alla manovra e dunque al dibattito parlamentare. Attualmente non è comunque chiaro come questo taglio ai pensionati verrà attuato, ma tanto basta perché i grillini possano dichiarare che con esso «sarà sostenuta la manovra» e verranno aumentate le pensioni minime.

Non mancano, nell’accordo, altri provvedimenti di grande appeal: uno detto «taglia-scartoffie» che dovrebbe semplificare i meccanismi della pubblica amministrazione, un altro che impedisce che si pignori casa a chi abbia dei crediti con lo Stato, e poi c’è un appesantimento dei balzelli a carico di banche e assicurazioni (che hanno già fatto sapere che dovranno rifarsi su correntisti e assicurati. Ma tant’è).

Questo per ciò che riguarda il decreto fiscale: comunque alla fine il risultato politico c’è, e tutti ne possono essere soddisfatti, i partiti non si sono spaccati, il governo è unito intorno alla sua politica economica (meno sicuramente intorno al suo ministro dell’Economia, ormai marginale e silenzioso).

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