Di Maio fa retromarcia
Situazione precaria

Bisognerebbe avere il talento di uno scrittore di gialli per raccontare le mille giravolte, i doppi giochi, le tattiche di questa classe politica che non riesce a mettere in piedi un governo e nemmeno a far partire la legislatura. Ma sarebbe un giallo mediocre e alla fine anche un po’ noioso. Tutti gli italiani guardano la scena, temono le minacce dei mercati, seguono il saliscendi dello spread, fanno i calcoli su quanti soldi stanno perdendo, e si chiedono: come andrà a finire? Nessuno lo sa.

Non diciamo tanto i giornalisti, ché in fondo sarebbe il meno, ma non lo sanno nemmeno protagonisti e comprimari di questo arzigogolo di fronte al quale le contorsioni della prima Repubblica, all’epoca tanto criticate, assurgono all’epica di una lotta tra giganti. E il primo a non saperlo è proprio l’arbitro, il capo dello Stato, quello cui spetta costituzionalmente il compito di fare da mallevadore alla formazione di un governo. E non perché a Mattarella manchino l’esperienza, la cultura, la saggezza di uomo cresciuto alla scuola della migliore Democrazia cristiana, ma perché è costretto a rapportarsi con interlocutori politici completamente diversi da lui, appartenenti ad una generazione lontana mille miglia dalla sua, quella per le quali la politica è soprattutto una diretta Facebook.

Quella, per intenderci, che ieri lo voleva trascinare davanti al tribunale della Corte costituzionale per attentato alla Costituzione, nientemeno, e oggi come se niente fosse sale al Quirinale per dichiarare l’intenzione di collaborare con lui.

Pare che i Cinque Stelle, perché di loro stiamo parlando, ieri si siano detti: «Abbiamo sparato all’arbitro prima che finisse la partita», e infatti Di Maio si è dovuto acconciare ad un mortificante passo indietro sulla richiesta di messa in stato di accusa del presidente della Repubblica. È probabile che glielo abbia imposto Grillo, e dimostra come il M5S in questo momento brancoli nel buio mentre vede Palazzo Chigi allontanarsi inesorabilmente. Al punto che oggi Di Maio sarebbe disposto, pur di avere un governo «politico», a mollare il professor Savona come ministro dell’Economia, a metterlo in un altro ministero, chissà magari al Turismo, e gli chiede, a quel testardo ottuagenario sardo, di fare lui un passo indietro, figuriamoci.

La verità è che Di Maio si trova alle prese con un giocatore che ha la metà dei suoi voti ma il doppio di abilità tattica. Salvini in questo momento ha davanti a sé una prospettiva win-win, come si dice: vince comunque. Se si va di corsa alle elezioni tutti i sondaggi dicono che guadagnerà un mucchio di voti in più (mentre i grillini sono dati in diminuzione); se si fa un governo politico, lo si fa alle sue condizioni; se decide di consentire a Cottarelli di governare per qualche mese, è in grado di tenerlo per un cappio criticandone le decisioni sgradite e appropriandosi di quelle più popolari. Non solo: Salvini può decidere in questo momento di rafforzare il legame con i grillini o di tornare all’alleanza col centrodestra, e sempre dando lui le carte.

Si capisce dunque che tra Lega e M5S si sta costruendo un’asimmetria a tutto vantaggio della prima. In ogni caso, Mattarella ha deciso di dar loro ancora un po’ di tempo, per l’ennesima volta. Ha fermato Cottarelli (che pure ormai ha la lista dei ministri pronti) e ha provato a far ripartire la macchina per formare un governo politico con una maggioranza in Parlamento.

Che succederà? Nessuno lo sa, ripetiamo. Comunque la situazione è talmente precaria che le elezioni non possono che arrivare presto, o persino prestissimo. E non è detto che riescano la sbrogliare la matassa.

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