Domanda di onestà
parola grande

Onestà, onestà. La parola echeggiò ripetutamente ai funerali di Gianroberto Casaleggio, l’ideologo dei 5 Stelle morto nell’aprile scorso. Il saluto della sua gente fu una sorta di rito-promessa, inno commosso per ribadire l’ideale dell’impegno politico che sopravviveva al maestro. Oggi i detrattori dei grillini hanno buon gioco nell’attacco al movimento, impantanato a Roma dopo soli tre mesi dall’insediamento del sindaco Virginia Raggi.

C’è un assessore indagato per abuso d’ufficio nella delicata vicenda dei rifiuti, decisiva per la Capitale e intorno alla quale ruotano grandi interessi e appetiti economici mimetizzati. I partiti tradizionali non si sono fatti perdere la ghiotta occasione per una rivincita morale nei confronti di un movimento che li ha messi nel mirino: hanno mietuto consensi facendo dell’onestà un programma di governo (dovrebbe semmai essere un prerequisito) ma sono come tutti gli altri. Così le parti si sono invertite: i grillini, ascesi anche grazie a campagne giustizialiste contro gli indagati di altri schieramenti, hanno scoperto il garantismo. Gli avversari hanno usato l’inchiesta della procura di Roma come grimaldello per incunearsi nel nuovo potere grillino. Che oltretutto si è mosso con poca trasparenza sulla vicenda: l’assessore Paola Muraro già a luglio sapeva di essere indagata e subito aveva informato Raggi. La notizia però è trapelata solo due mesi dopo. Ma questo aspetto della polemica non è una novità, confermando la debolezza della cultura giuridica italiana: per i codici un avviso di garanzia non è una sentenza di condanna, semmai una strumento a garanzia (appunto) della persona che lo riceve.

Qui però vorremmo approfondire il significato della parola «onestà», diventata un mantra nell’Italia degli scandali giudiziari, veri o presunti (nei giorni scorsi è stata archiviata l’indagine sull’ex presidente del Pd campano Stefano Graziano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa: finì nel tritacarne mediatico-giudiziario ma la notizia dell’archiviazione è stata derubricata da tg e giornali nazionali a poche righe). Viviamo un tempo dominato dal denaro, diventato la chiave interpretativa dei fatti. Onesto è chi non ruba. Ma il termine indica ben altro: la disposizione e il comportamento di chi è non solo retto, ma anche leale e sincero. Onesto è chi non tradisce anche la verità. Una parte dei militanti dei 5 Stelle ha cercato di sviare dalle difficoltà imposte dalle vicende romane chiamando in causa complotti e poteri forti, una lunga mano che avrebbe generato il fango del quale è vittima il sindaco Virginia Raggi. Ma nel movimento c’è chi la pensa in altro modo: «Guardiamo in faccia la realtà e smettiamola di dare la colpa alle Olimpiadi. Nella Capitale non stiamo dando una grande immagine e a me dispiace molto ma bisogna essere sinceri: ora si tratta di provare a ripartire» ha detto Massimo Bugani, braccio operativo di Beppe Grillo in Emilia Romagna. Una presa di posizione appunto onesta.

Ma la vicenda è rivelatrice di un atteggiamento che riguarda l’Italia in generale. I pentastellati sono figli di questo tempo, «formati» politicamente nel mondo dei social, che hanno elevato a strumento di trasparenza e di democrazia diretta. Ma quel mondo è affetto anche da complottismo, da opinioni vendute come fatti acclarati e da una disonestà intellettuale disarmante. Si può scrivere di tutto, senza l’onere e la responsabilità della prova. Ai grillini non si può rimproverare l’inesperienza, perché sono stati votati proprio per questa ragione: considerati puri perché privi di esperienze politiche precedenti. E onesti perché non rubano.

Eppure sentiamo il bisogno di altro, a partire dalle evidenze che ognuno di noi vive nel quotidiano. Un bisogno di lealtà e di sincerità, di leggere la realtà per quello che è. Da parte della politica (nei talk show capita che ci si accapigli anche di fronte all’inappellabilità dei numeri e il vero il falso diventano categorie opinabili) ma non solo. L’Italia è difficilmente riformabile perché è un Paese di corporazioni, chiuso nella difesa di privilegi e diritti acquisiti in tempi di benessere diffuso. Quanti hanno l’onestà di riconoscere i propri privilegi e non solo di condannare quelli altrui? Servirebbe una presa di coscienza condivisa della realtà, un punto in comune dal quale poi partono strade in direzioni diverse (sinistra, centro, destra) per indicare le soluzioni possibili. Il tasso di litigiosità è generato anche da questa assenza di onestà rispetto al reale: tutto può essere messo in discussione e travisato con la menzogna.

Ma c’è anche un’onestà verso il proprio io (secondo il principio socratico del «conosci te stesso»), quando si è capaci di ammettere di non essere all’altezza di un compito o di un ruolo, di avere dei limiti che possiamo superare solo insieme agli altri. Diceva lo scrittore francese, Charles Péguy: «Il mondo è pieno di persone oneste. Si riconoscono dal fatto che compiono le cattive azioni con più goffaggine». Ecco, l’impressione che spesso si ricava del nostro Paese leggendo le cronache è quello della goffaggine. C’è davvero bisogno di un’onestà più grande.

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