Festa e riposo
per la famiglia

La grande distribuzione non ha preso bene l’intenzione del Governo di liberare le domeniche, ovvero di imporre la chiusura a molti settori della distribuzione nei giorni festivi. Una decisione che era da sempre nelle promesse elettorali dei Cinque Stelle e in particolare del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio. Certamente uno dei punti di contatto tra il Movimento di Grillo e il mondo cattolico che da sempre si batte per riportare le festività alla loro origine, a beneficio principalmente delle famiglie. I rappresentanti della grande distribuzione fanno previsioni apocalittiche: perderemo decine di migliaia di posti di lavoro per i mancati introiti domenicali. E ci sono politici ed economisti che amplificano il coro: ma come, in tempi di crisi ci tiriamo la zappa sui piedi? Ma ci paiono previsioni che hanno più il sapore di una minaccia che di un’analisi economica.

Innanzitutto va detto che quando la domenica i supermercati erano chiusi questi continuavano a prosperare. Come ci ha spiegato Stefano Zamagni, pioniere degli studi sul Terzo settore e massimo studioso in Italia di economia sociale, festa e riposo sono due parole diverse. Fino a trent’anni fa infatti coincidevano. La domenica in famiglia e non alla cassa o tra i banconi a mettere a posto i prodotti era fuori discussione anche per i datori di lavoro, non solo per motivi umanitari ma anche per motivi funzionali: l’operaio, per ripartire, aveva bisogno di una pausa per rinvigorirsi e coltivare i suoi affetti.

Ma da trent’anni a questa parte, ovvero dall’inizio della globalizzazione, festa e riposo sono diventati due parole diverse. Il riposo è generalmente accettato persino dalle multinazionali più selvagge, sempre per gli stessi motivi funzionalistici: il commesso, l’ impiegato, l’operaio devono riposarsi per poter rendere al meglio.

E la domenica? La festa, oggigiorno, per via delle grandi migrazioni e del melting pot di etnie presenti tra i lavoratori, non sempre coincide con le altre tradizioni e ha finito per scolorarsi, perdendo di significato: per il musulmano è il venerdì, per il cattolico è la domenica.

Ma la domenica a casa è garanzia di unità familiare, e quindi di felicità. Per essere uniti, si ha bisogno di tempo. Se un padre segue turni di riposo diversi dalla madre, i figli non vedranno mai contemporaneamente i genitori. La casa di chi lavora anche i festivi non è mai piena, è come un albergo, non sono possibili nemmeno le feste di compleanno. Quello della famiglia non è solo un sacrosanto diritto, ma anche un bene relazionale economicamente funzionale. La festa-riposo dunque è il mezzo con cui l’unità familiare viene esaltata, la grande opportunità per generare felicità. Per non parlare della dimensione spirituale della domenica tanto cara alla Chiesa. Tanto è vero che la Cei si è sempre battuta per liberare la domenica. Abolire la festa è l’espressione di chi ha una visione puramente materialistica della vita e della società.

Veniamo ora all’obiezione dei posti di lavoro persi. C’è chi ricorda che è il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato. E che i posti di lavoro che garantiscono il reddito, vengono prima di tutto. Peccato che nessuno è mai riuscito a dimostrare che tenendo aperto la domenica aumentano i consumi e i fatturati e dunque i posti di lavoro. Tanto è vero che in America, la patria del liberismo più sfrenato, la domenica la maggior parte dei negozi e dei supermercati sono rigidamente chiusi. E questo vale per la Germania, la Francia e la maggior parte dei Paesi europei. Provate a fare una passeggiata nel centro di una città austriaca il sabato pomeriggio! Non parliamo della domenica.Eppure l’Austria ha un Pil superiore al nostro. Siamo un Paese bizzarro, che spesso da Paese modello diviene in pochi anni terra per i peggiori esperimenti liberisti.

La politica, quella alta, non può fermarsi di fronte alle minacce di un settore economico, anche se in buona fede: dispone degli strumenti per non sottostare a queste minacce e a «ricondurre a giudizio» chi teme una perdita nel proprio fatturato. Non si tratta certo di impedire servizi essenziali per i beni e servizi materiali e immateriali di un Paese (questo articolo è stato scritto di domenica per un giornale redatto di domenica perché l’informazione è un bene essenziale) ma di permettere a tanti lavoratori che producono servizi non essenziali nei festivi di poter godere il proprio riposo in famiglia.

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