Francesco, i sogni
e i doveri degli adulti

Ci sarà da riflettere molto sull’incontro di Papa Francesco con i giovani italiani. Ma prima di tutto sarà opportuno rispondere ad una domanda: a chi ha parlato il Papa? Davvero ha parlato solo ai giovani oppure si è rivolto agli adulti? Ha chiesto solo ai giovani di mettersi in gioco e di non poltrire sul divano o piuttosto ha strigliato gli adulti, perché sono loro i primi che devono rimettersi in gioco? Se oggi assistiamo ad uno smarrimento nei giovani italiani è perché gli adulti da troppo tempo hanno deciso che per diventare grandi c’è sempre tempo. E così si è spezzato quel naturale procedere delle cose per cui una generazione ereditava quella precedente e la migliorava, cercando di correggere instabilità e fragilità, imparando dagli errori, faticando, sperimentando e rischiando.

Bergoglio ha più volte insistito sulla responsabilità del «sogno». Lo dice da anni ai giovani. La sua frase sintetica e insieme icastica, cioè dotata di notevole efficacia rappresentativa quando si rivolge ai giovani è: «Non lasciatevi rubare i sogni». E chi ruba i sogni? E soprattutto perché si rubano i sogni? I sogni vengono portati via e disinnescati dagli adulti, che preferiscono avere giovani «anestetizzati», buoni come un reggimento di soldatini in fila, smartphone innestato, spensierati, ricolmi di cose, ma privi del gusto e della curiosità di sapere, di capire, di fare, di provare. Gli adulti pensano che così i giovani siano felici, perché hanno tutto e perché soprattutto non hanno la responsabilità di diventare adulti, condizione dove loro (gli adulti) non si sentono affatto bene.

Quando il Papa sprona i giovani e spiega che è meraviglioso crescere, anche un po’ irrequieti e un po’ ribelli, quando il Papa scongiura i giovani a non diventare zavorre per scelta propria o per accettazione del perimetro imposto dal cerchio magico dei poteri che soffocano la libertà di occuparsi del proprio destino e che impongono la regola del fatalismo, in realtà si rivolge agli adulti.

Oggi gli adulti ritengono che i giovani debbano essere abili predatori e scaltri consumatori. Li allenano ad essere felici a spese altrui, si fanno in quattro per sottrarli alla fatica, al dolore, per evitare che facciano i conti con la responsabilità e le memorie. In realtà li mortificano, anche quando si mettono, patetici, al loro passo, si vestono come loro e fanno finta di pensare come loro, anche se poi non mollano nulla e tengono saldamente in mano ogni leva dalla politica all’economia alla religione. Chi oggi spiega ai giovani come stanno le cose in questo gioco di specchi che li confonde e li tiene inchiodati all’illusione che ci si può fermare sulla soglia della realtà? La Chiesa, perché è convinta, a differenza di altri, che i giovani siano in grado di uscire dalla trappola se incoraggiati e aiutati a capire.

Nei due giorni passati lo hanno dimostrato le parole del Papa e le proposte che la Cei ha offerto. Se si aiutano i giovani a strutturare i desideri e i sogni, senza impazienza, senza giudizi preventivi e si smette di riempire soltanto i loro bisogni e di porli al riparo dalla storia, se gli adulti imparano ad attendere e non pretendere, ad accompagnare e a curare le relazioni, se si convincono che i giovani devono avere accesso al lavoro, allo studio, alla casa e anche alla famiglia, agli affetti e alla fede per diritto e non per un colpo di fortuna allora potrà riprendere il regolare corso delle generazioni. Non è difficile. I giovani a Roma hanno lasciato intendere di essere capaci di rispondere ad una voce che chiama. Ma la prima mossa ora tocca agli adulti.

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