Generare ricchezza
contro la povertà

Le scelte dell’attuale governo appaiono sempre più ancorate a calcoli elettorali, piuttosto che ad una visione programmatica di politica economica. Lo testimoniano sia le prime iniziative assunte nel campo del lavoro, con il decreto Dignità che penalizza in qualche misura le imprese, sia le misure che dovrebbero colpire le cosiddette pensioni «d’oro» a vantaggio di quelle più modeste. Non è difficile riconoscere in tutto ciò precise finalità propagandistiche, visto che il mondo imprenditoriale oggi, per varie ragioni, non gode di grande popolarità e visto anche che i pensionati più abbienti sono certamente molto meno numerosi della massa che arranca e protesta.

Uno dei punti meno credibili di tale programma è avere presentato l’intervento sulle pensioni esaltandone le presunte finalità di giustizia redistributiva. Se davvero si volesse raggiungere questo obiettivo, si otterrebbero risultati ben più significativi con politiche fiscali progressive sul reddito e stabilendo imposte patrimoniali indirizzate a colpire le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari, celate al fisco grazie ai tanti paradisi fiscali. Invece è in programma la graduale realizzazione della flat-tax, che avvantaggerà significativamente i redditi più elevati e che è stata presentata come la sola in grado di abbattere l’enorme evasione fiscale del nostro Paese.

In realtà, da questo punto di vista, nei Paesi dell’est europa in cui è stata prevalentemente realizzata, non si sono registrati risultati apprezzabili. Saranno, quindi, solo i pensionati che hanno guadagnato negli anni pensioni importanti ad essere colpiti, peraltro con risultati economici assai contenuti e non si sa ancora partendo da quale soglia e con quali deduzioni. Gli annunci più ricorrenti, anche se ancora piuttosto vaghi, fanno riferimento alle pensioni che superano i 4.000 euro. Si realizzerebbe così, tra l’altro, una vera e propria ingiustizia sociale, penalizzando chi è riuscito a garantirsi una vecchiaia più serena attraverso un lavoro conquistato, in molti casi, dopo un lungo corso di studi e avendo superato selezioni o concorsi pubblici molto impegnativi. Questa scelta, poi, di punire chi si è distinto tra i più attivi nel mondo del lavoro, evidenzia un chiaro disinteresse verso la valorizzazione del merito, che è una precondizione essenziale per la crescita economica. C’è anche il rischio di provocare una ricaduta diseducativa tra i giovani, determinata dall’inquinamento morale prodotto da interventi che non hanno alcun riguardo per coloro che investono con sacrifici su se stessi da un punto di vista formativo e di continuo miglioramento delle proprie competenze.

Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla caduta del comunismo e ad un tendenziale declino delle socialdemocrazie. Eppure, autorevoli esponenti del governo si fanno portatori di idee iper-egualitarie e iper-assistenzialistiche che i partiti comunisti e le socialdemocrazie europee degli ultimi cinquant’anni non avrebbero certamente avallato. Basti ricordare il pensiero di uno dei più autorevoli socialisti dello scorso secolo, lo svedese Olof Palme, il quale nel corso di una difficile e combattuta campagna elettorale ebbe a dire: «Il nostro dovere è combattere la povertà, non la ricchezza». Insomma, bisognerebbe tendere alla crescita e all’uguaglianza verso l’alto, non alla decrescita e all’uguaglianza verso il basso. Del resto, proprio gli accadimenti della storia ci hanno insegnato che «prima di redistribuire è indispensabile produrre». Sorprende che, oggi, autorevoli esponenti politici del nostro Paese considerino la redistribuzione del reddito come una «variabile indipendente», non strettamente legata alla capacità di generare ricchezza. Con idee di questo tipo è difficile sperare in una crescita sostenuta.

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