Germania e Italia, il voto
che interroga l’Europa

Con le dimissioni di Martin Schulz da presidente della Spd e da futuro ministro degli Esteri la grande coalizione si è trasformata in un grande punto interrogativo. A decidere saranno i circa 420 mila iscritti al partito socialdemocratico chiamati il 4 marzo a dare il responso finale. Lo stesso giorno delle elezioni italiane. Saranno quindi, per la Germania come per noi, venti giorni di passione politica. Decisivo in questo contesto non sarà tanto la Germania la cui precarietà politica è ormai per così dire istituzionalizzata ma proprio il Paese che è considerato il malato d’Europa.

L’Italia con le sue elezioni dirà se il quadro politico dell’Unione Europea deve regredire a favore degli Stati nazionali o mutare verso una maggiore integrazione. Un dettaglio non scontato. All’ultimo congresso della Spd a dicembre quando un relatore ha citato il presidente francese Macron sono seguiti fischi di disapprovazione. Parigi in Germania ha fatto breccia solo nel cuore di Angela Merkel. Un partito socialdemocratico in crisi di rappresentanza investe di riflesso anche la Cdu. Dal profondo del partito si levano le voci dei giovani leoni, desiderosi di dar corso alla successione di Angela Merkel. Il cambio generazionale coincide con la crisi dei grandi partiti e determina uno sfilacciamento tra l’elettorato e la sua tradizionale rappresentanza politica. Ci si ostina a declinare gli avvenimenti politico-sociali con le categorie di destra e sinistra quando è ormai chiaro che queste definizioni valgono per una società industriale tradizionale, non in un’economia dove la settimana di lavoro si riduce a 28 ore. Il problema che assilla ora la sinistra in Germania e in Europa è come conciliare la liberalità, l’apertura al mondo con la difesa di coloro che della globalizzazione sono diventati vittime e per i quali un mondo flessibile tagliato a misura per l’individuo non è più una promessa ma una minaccia.

E con chi spartire la solidarietà? Con i perdenti del nuovo corso o con i migranti percepiti come concorrenti che dall’apertura delle frontiere, dall’erosione della sovranità degli Stati traggono speranze di un futuro migliore? Una questione aperta che tocca anche la sinistra italiana che non a caso si trova divisa così come divisi appaiono i partiti del centrodestra. In fin dei conti Matteo Renzi è stato un pioniere nel tentativo di rivoluzionare e svecchiare il suo partito. Ha fatto errori e la fortuna non si allea con gli sconfitti. In Germania la sinistra arriva dopo. Sarah Wagenknecht, capo gruppo parlamentare della Linke, auspica di uscire dagli steccati dei partiti tradizionali e aprirsi ad una sinistra più larga che egemonizzi il tema della precarietà e diventi paladina dei diritti persi.Un programma di cambiamento che a sua volta si riflette nelle file cristiano-democratiche. Qui la difesa del conservatorismo trova la sua ragione d’essere nella nazione luogo di valenza simbolica. Il ceto medio riacquista identità nella diffidenza verso il flusso migratorio, nella lotta a ciò che adesso fa molto uomini di mondo e cioè quel centro da metropoli interclassista, liberale, progressista, ecologico e appunto globalizzato. Il nazionale fa premio sul globale. I cristiano-democratici post Merkel non aspirano più a grandi coalizioni. Vogliono una nuova Cdu allargata che assorba i voti finiti all’Afd. Non a caso è stata rispolverata all’ultima assise della Csu bavarese la rivoluzione conservatrice. Da questo sommovimento che scuote dalla fondamenta gli equilibri politici tedeschi nasce un’insicurezza che si ripercuote su tutta l’Europa. Il dopo Merkel è cominciato.

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