Giovani e droga,
gli errori degli adulti

«Là fuori c’è qualcuno che vuole soffocarvi, facendovi credere che sia normale fumare una canna, e che è normale farlo fino a sballarsi, che sia normale andare sempre oltre». Sono parole pronunciate dalla mamma del ragazzo che a Lavagna lunedì scorso si è ucciso perché sorpreso in casa con 10 grammi di hashish durante una perquisizione della Guardia di Finanza. È stato un gesto drammatico che certamente non può essere motivato solo da quel singolo episodio: si trattava infatti di una dose addebitabile a «consumo personale» e che non poteva far scattare l’accusa di spaccio. Per questo il caso del ragazzo di Lavagna, giovane promessa della squadra locale, la Virtus Entella, può essere riletto come drammaticamente emblematico della somma di errori che il mondo degli adulti sta commettendo nei confronti delle nuove generazioni. Errori non necessariamente dettati da calcolo ma determinati da una incapacità di fondo a «capire» e a dialogare.

Nel nostro caso il primo errore - è paradossale doverlo dire - è stato quello della madre adottiva del ragazzo (la cui identità è stata tenuta coperta, per giusta riservatezza). È stata lei, esasperata più ancora che dai comportamenti del figlio dal fatto di non riuscire a farsi ascoltare, a chiamare in causa le forze dell’ordine e nello specifico la Guardia di Finanza. Come ha detto un ascoltatissimo pedagogista, Daniele Novara, è sempre sbagliato che una serie di problemi passino dal campo dell’educazione al campo giudiziario. Si sono fatte tante ricostruzioni di questo tragico episodio, ma è stata la mamma stessa sgombrare il campo e ad ammettere pubblicamente di aver chiamato la Finanza, che ha voluto anche ringraziare per non averla lasciata sola.

Il secondo errore lo ha commesso il padre, che sempre pubblicamente, in un’intervista ha riconosciuto di «non essere stato un bravo padre». «Non ho capito mio figlio», ha detto. E in quel suo dolore c’è tutto il dramma di un rapporto che si era ridotto a silenzi, a un cumulo di cose non dette cresciuto nel tempo. È un errore di mancata autorità, dove la parola autorità significa essere punto di riferimento, guida, capacità di dare consigli e, se necessario, comandi.

Il terzo errore è un errore assai meno giustificabile: è quello che hanno commesso i tanti che hanno voluto usare questa tragedia per rivendicare le ragioni della depenalizzazione delle droghe leggere. Non si vuole discutere qui della bontà o meno di una simile proposta; quello che non funziona è una visione delle cose dove il punto di vista è sempre e solo quello degli adulti. È una visione che non tiene conto dell’oggettiva fragilità di un ragazzo, per cui quella che può essere ritenuta una normalizzazione, può invece trasformarsi, in una trappola, come ha appunto detto la stessa mamma parlando durante il funerale: «Là fuori c’è qualcuno che vuole soffocarvi, facendovi credere che sia normale fumare una canna». Ciò che per un adulto può essere tenuto nei binari di una normalità, in un ragazzo invece può innescare processi che finiscono fuori controllo. «Siamo adulti che liberano serpenti dove invece ci sono solo piccoli lombrichi», ha detto ancora, con una formula molto efficace, Daniele Novara.

Infine c’è l’adulto che commette l’errore opposto, e moralisticamente si barrica dietro la demonizzazione dello spinello, chiudendo gli occhi su altri modi «puliti» con cui un ragazzo mortifica gravemente la propria vita. I videogiochi, ad esempio, sono uno di questi: uno strumento «comodo» che inchioda i ragazzi davanti ad uno schermo e che garantisce tranquillità a genitori smarriti. In realtà una dipendenza da videogiochi può essere più dannosa e alienante di uno spinello e oggi i dati ci dicono che siamo davanti ad una vera «epidemia», davanti alla quale ci si comporta come se anche questa fosse una cosa «normale».

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