Giovani senza futuro
L’allarme dei vescovi

La cifra più drammatica è nascosta nelle pieghe dell’anagrafe di Napoli. Dalla città se ne sono andati negli ultimi anni duemila bambini tra uno e quattro anni. Sono spariti, emigrati con le loro famiglie in cerca di fortuna altrove. Napoli non ha più futuro e il resto del Sud? Bisogna partire da questa analisi per capire cosa accadrà e come fare per ritrovare al Sud le generazioni perdute, altrimenti non solo il Mezzogiorno ma l’Italia finirà nel baratro... I vescovi italiani lo avevano già detto nel 1989: «Il Paese non crescerà se non insieme». Ma nulla. Da allora il Paese è cresciuto, qui e là.

Ma da allora la certificazione di una crescita a due o più velocità è diventata una dolorosa realtà. E al Sud ha i tratti del dramma. Ieri i vescovi italiani hanno chiesto una svolta. Di nuovo. C’è un’Italia che non ce la fa e non basta un ministero per il Mezzogiorno. Un giovane su tre, in media, a sud di Roma è disoccupato. A Messina si arriva al 70 per cento, a Catania al 65, a Palermo e a Napoli al 63, a Bari al 44 per cento. Sono le regioni meridionali a trascinare tragicamente verso il basso la disoccupazione giovanile in Italia che si attesta al 40 per cento, il doppio della media dei Paesi dell’Unione.

Ecco perché non c’è più una questione meridionale. Chi ha meno di 35 anni in Italia è messo malissimo e peggio al Sud. Quasi dappertutto è sotto il giogo di lavori precari e ricatti. Al Sud per evitare di fare esplodere la rabbia ormai si certifica come virtuoso il lavoro nero oppure quello garantito dalle mafie. La denuncia pesante che il vescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro ha fatto su agromafie, caporalato, ferite all’ambiente dalla Terra dei Fuochi all’Ilva, al convegno della Cei di Napoli sul lavoro sparito lascia senza fiato.

Ma la Chiesa cattolica è l’unica autorizzata a parlare, perché non solo ha messo in fila le analisi, ma ha costruito un pezzetto di futuro. Non è tanto, forse nemmeno una goccia nel mare. Eppure ha indicato una via in uno scenario che, nessuno si fa illusioni, resta fosco. Si chiama «Progetto Policoro» e in vent’anni con i soldi dell’otto per mille e con fantasia imprenditoriale ha permesso la nascita di 700 imprese di varia natura in 70 diocesi di Mezzogiorno. È una luce nel buio accesa con il meccanismo spesso del microcredito e con una rete di consulenze del lavoro e commerciali che hanno permesso a giovani imprenditori di uscire senza le ossa rotte dal tritacarne della burocrazia.

Ha valore economico e soprattutto educativo, segna un punto nella colonna della speranza, assicura i giovani che c’è ancora qualcuno che pensa a loro. Perché questo è l’argomento vero. I giovani e i bambini non sono da tempo una priorità per il Paese. Non trovano lavoro anche perché hanno poche conoscenze, faticano perfino con l’italiano. Tutta colpa loro? Oppure la responsabilità è di quegli adulti che hanno sbaragliato la scuola e la formazione, hanno reso evanescente la cultura, hanno sottolineato solo la necessità di avere competenze e di non puntare più a padroneggiare il sapere intero. Forse la buona scuola non è così buona, se tende a sostituire la conoscenza con le competenze, come è stato fatto da sciagurate e reiterate riforme scolastiche.

È la povertà educativa la misura scandalosa dell’inverno del lavoro. Al Sud più che altrove. E non basterà la banda larga, la contrattazione aziendale, la manovra sulle pensioni, l’incentivo fiscale territoriale. Occorre un patto di ferro tra generazioni, che si tenga alla larga da politiche giovanilistiche, le quali di solito i giovani sul lungo periodo li fregano.

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